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Mario Draghi l’ha azzeccata. L’accoppiata governance interna (cioè al Mef) e riforma da annodare agli investimenti è l’assetto più giusto per portare a casa un Recovery Fund a prova di pandemie, presenti e future. L’entità dei fondi è stata fissata dal ministro dell’Economia, Daniele Franco, a 196 miliardi, in arrivo entro fine estate. E, chiarimento dello stesso ministro, dotato di cabina di regia in house.

Semmai, è molto più aleatoria la strategia verso il quale si sta orientando l’esecutivo guidato dall’ex governatore della Bce, fatta di zone rosse sempre più vaste e accelerazione repentina sulla campagna vaccinale. Non è detto che il gioco riesca, dice a Formiche.net Nicola Rossi, economista di Tor Vergata e membro del board dell’Istituto Bruno Leoni.

Rossi, il governo Draghi punta molto sull’ampliamento a tempo determinato delle zone rosse, da far coincidere con una seria e massiccia campagna vaccinale. Una scommessa che si può vincere?

Non credo che si tratti di una scommessa. Credo piuttosto che si tratti di una strategia basata sui dati e sulle esperienze di altri Paesi. Dobbiamo tutti augurarci che funzioni e, di conseguenza, dobbiamo augurarci che lo sforzo organizzativo su cui la campagna di vaccinazione si basa abbia pieno successo. Ed è esattamente su questo punto che dovremo valutare l’azione del governo.

Nel mentre c’è da scrivere un Recovery Plan degno di questo nome. Il governo punta a governance interna, ribadita dal ministro Franco e riforme da allegare a ogni investimento. La convince?

Difficile non condividerlo. Per quanto riguarda la governance non sono pochi i Paesi che, come l’Italia, la hanno concentrata nel principale ministero economico (ed è una soluzione visibilmente preferibile rispetto alle architetture barocche immaginate mesi fa). Per quanto riguarda, invece, il rapporto fra riforme e spesa in conto capitale finanziata con risorse europee, si tratta di un rapporto molto più stretto di quanto non si pensi e per l’Italia vitale.

Che cosa lo rende così vitale?

Per l’Italia è essenziale che la spesa in conto capitale dei prossimi sei anni sia una spesa ad elevato rendimento (in termini di prodotto potenziale) e ciò è possibile solo se la si inquadra in un contesto strutturalmente diverso da quello attuale. Se l’elevato rendimento non si concretizzasse potremmo finire per scontrarci contro il muro del debito pubblico. E non sarebbe piacevole. D’altronde, le riforme pesano enormemente ma non perché ce lo chiede l’Europa. Pesano perché sono condizioni di contesto in base alla quali le risorse del piano possono diventare a basso, medio o alto rendimento. Dipende tutto da quello.

Il prossimo 30 giugno scade il blocco ai licenziamenti, dopo una proroga di altri tre mesi. Le imprese vorrebbero concertare con il governo soluzioni soft e transitorie per evitare bagni di sangue. Lei ha in mente una via d’uscita?

I rinvii, in parte inevitabili, decisi su più fronti nel corso del 2020 stanno generando emergenze in più direzioni ma stanno anche facendo emergere nodi strutturali da tempo presenti e mai affrontati. Nel caso del lavoro, l’assenza di un moderno sistema di ammortizzatori sociali non categoriale e centrato sui lavoratori più che sul posto di lavoro è il tema da affrontare in tempi brevissimi.

Rossi uno dei capisaldi della politica economica de governo Draghi, una volta fuori dall’emergenza, sarà la riforma fiscale, di cui in questo Paese di parla da anni senza mai arrivare a un vero riassetto. Le proposte fin qui emerse, come il modello danese che parte dalla riduzione del prelievo sul lavoro, la convincono?

Mi convince molto quanto il presidente del Consiglio ha indicato nelle sue dichiarazioni programmatiche. Primo, qualunque riforma dovrà rispettare la Costituzione (un punto, suppongo, largamente condiviso). Secondo, il sistema fiscale è una architettura complessa che sopporta a fatica interventi specifici e disordinati (esattamente il tipo di interventi che abbiamo sperimentato negli ultimi decenni e che ci ha condotto alla situazione attuale). Terzo, trattandosi di una architettura complessa, è consigliabile che della materia vengano investiti in prima battuta alcuni esperti cui affidare il compito di disegnare una ipotesi di riforma per quanto possibile condivisa ma comunque ragionata e coerente (una indicazione spesso trascurata negli ultimi tempi).

Conclusione?

Mi aspetto quindi che il governo si muova rapidamente in questa direzione e che la fase istruttoria possa concludersi rapidamente, anche alla luce dell’ampio dibattito che si è sviluppato nel corso degli ultimi tre anni.

Il governo sarà valutato su vaccini e lockdown. La versione di Nicola Rossi

L’economista e membro del board Bruno Leoni: le nuove restrizioni quale preludio di una vaccinazione di massa sono una strategia che deve funzionare per forza e su cui si giudicherà il governo. Sul Recovery Plan Draghi è partito col piede giusto, non c’è investimento senza riforme. Ora una riforma fiscale seria e occhio alla mina licenziamenti

 

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