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Alla fine una soluzione andava trovata per sbarcare sui listini, quotarsi e cominciare a raccogliere un po’ di soldi dal mercato. E China Telecom, terzo operatore tlc della Cina, una soluzione l’ha trovata, dopo il benservito di Wall Street, che per due volte si è rifiutata di accettare l’Ipo del gruppo, dopo che la passata amministrazione Trump aveva inserito la società telefonica cinese nella black list delle aziende non gradite agli Usa. Quelle cioè, considerate lesive dell’interesse nazionale statunitense.

QUOTAZIONE FATTA IN CASA

E così, nella nottata, China Telecom, il cui azionista forte è Gic Private Limited, ex Government of Singapore Investment Corporation, fondo sovrano d’investimento fondato dal governo di Singapore nel 1981, ha annunciato la presentazione della richiesta per essere quotata alla Borsa di Shanghai, a due mesi dalla sospensione, due mesi fa, presso la borsa di New York. La compagnia telefonica, che ha come piazza di quotazione principale Hong Kong, ha chiarito che venderà azioni per un valore nominale fino a 13,91 miliardi di yuan (2,1 miliardi di dollari) a Shanghai.

Un annuncio arrivato nelle stesse ore in cui il numero uno della compagnia, Ke Ruiwen annunciava i risultati annuali della compagnia, che nel 2020 ha registrato un profitto netto di 20,85 miliardi di yuan (3,2 miliardi di dollari), con un incremento dell’1,6 per cento rispetto al 2019, a fronte di entrate pari a 393,56 miliardi di yuan (60,3 miliardi di euro), con un incremento del 4,7% su base annua.

I NO DI WALL STREET

A monte dell’operazione di China Telecom alla Borsa di Shanghai c’è però il gran rifiuto americano di quotare a Wall Street la compagnia cinese. A metà 2020, infatti, attraverso la sua controllante China Telecommunications Corporation, la società era stata indicata dal Dipartimento alla Difesa Usa come una delle 44 compagnie cinesi sotto il controllo dell’esercito e per questo, in base a un ordine esecutivo firmato dall’allora presidente Donald Trump, erano state avviate le pratiche per la sua estromissione dalla piazza di New York dove era quotata, mediante delisting, insieme ad atri due big delle telecomunicazioni cinesi: China Mobile Communications e China Unicom, con base a Hong Kong.

Ma non tutto è filato liscio. Ai primi di gennaio del 2021, infatti, il New York Stock Exchange aveva annunciato l’esecuzione dell’ordine esecutivo di Trump (ancora in carica per pochi giorni), salvo poi cambiare idea tre giorni dopo, fermando sul filo di lana la cancellazione dal listino di tre tre operatori telefonici statali cinesi, prevista per l’11 gennaio. Ma non era ancora finita.

Perché da lì a pochi giorni sarebbe arrivata la nuova retromarcia di Wall Street, con la decisione finale del Nyse di procedere al delisting di tre big cinesi delle telecomunicazioni. Decisione arrivata dopo le critiche dell’allora segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, che si era detto in disaccordo con la scelta del Nyse annunciata nelle ultime ore di non procedere con il delisting, lasciando i tre big cinesi quotati. Salutata Walla Street, la telefonia cinese ha virato su Shanghai.

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