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Non si fermano i colpi di coda dell’amministrazione uscente al Pentagono. Dopo le dimissioni in massa dei vertici politici, sono arrivate ieri le nuove nomine al Defense Policy Board, il panel di esperti che consiglia i tre più alti leader della Difesa a stelle e strisce. Lo scorso 25 novembre l’amministrazione aveva licenziato dieci dei 13 membri. Ora sono arrivate le nuove nomine, per lo più fedelissimi di Donald Trump, compreso chi curò la sua campagna nel 2016 e chi ancora parla di “colpo di Stato” con riferimento al voto del 3 novembre.

IL DEFENSE POLICY BOARD

Il Defense Policy Board è uno degli organi di consulenza “nonpartisan” (almeno formalmente) all’interno del Pentagono. Attraverso il sottosegretario per le politiche (terza carica del dipartimento), fornisce “opinioni e avvisi indipendenti e informati” al segretario e al suo vice, su specifici temi da essi indicati. La sua nascita risale ai primi anni 2000 con George W. Bush alla presidenza e Donald Rumsfeld alla Difesa. L’organo fu introdotto soprattutto per bilanciare, attraverso esperti della società civile e del mondo privato, il peso degli esperti militari nella definizione delle politiche nazionali, tema che ora torna al centro del dibattito con la designazione di Lloyd Austin III da parte di Joe Biden.

IL GIRO DI VITE

Lo scorso 25 novembre l’amministrazione Trump ha licenziato molti dei componenti del board. Una mossa poco pubblicizzata, tanto da essere stata riportata dalla stampa americana solo quattro giorni dopo (il sito ufficiale riporta al momento solo tre membri). Una mossa in linea con il giro di vite al Pentagono dopo la sconfitta elettorale. Cinque giorni dopo il voto, il segretario alla Difesa Mark Esper rassegnava le sue dimissioni, e l’incarico veniva assunto pro tempore Christopher C. Miller, già stretto collaboratore del presidente come senior director del National security council. In meno di 24 ore erano arrivate anche le dimissioni di James Anderson (sottosegretario per la Policy, numero tre del Pentagono), Joseph Kernan (sottosegretario per l’intelligence) e Jen Stewart (capo dello staff di Esper). Regge tuttora il capo di Stato maggiore della Difesa, Mark Milley, che però non ha nascosto insoddisfazione per alcune mosse della presidenza, soprattutto in tema di ritiri.

I FEDELISSIMI DI TRUMP

Il giro di vite non si è però fermato e ha colpito il Policy Board che, con la fuoriuscita di Anderson, è passato tra le competenze di Anthony Tata. Il Comitato era già privo da novembre dei due membri di peso Madeleine Albright e Henry Kissinger. Ieri la nota del Pentagono sulle nuove nomine, otto in tutto, in cui spiccano i fedelissimi di Trump. C’è Newt Gingrich, già speaker della Camera, tra i più accesi supporter del presidente anche dopo il voto, con il sostegno alle sue iniziative per cercare di ribaltarlo. C’è anche Scott O’Grady, pilota caccia, già scelto da Trump come assistant secretary per gli affari di sicurezza nazionale al dipartimento della Difesa, noto per aver condiviso teorie cospirazioniste sul recente esito elettorale, parlando di “colpo di Stato”, di furto di milioni di voti e invocando la legge marziale. Completano il quadro il generale Thomas Carter, l’economista Edward Luttwak, il milionario Thomas Stewart (considerato tra i maggiori benefattori del partito repubblicano), l’ambasciatore Charles Glazer, l’ex membro della Camera Randy Forbes e l’ex senatore Robert Smith, entrambi in quota Gop.

LE ALTRE POSIZIONI

La scorsa settimana il Pentagono aveva reso note altre due nomine per il Defense Policy Board: l’esperto dello Hudson Institute China Michael Pillsbury per la presidenza del Comitato, e la ex amministratrice della National nuclear security administration administrator (Nnsaa) Lisa Gordon-Hagerty in qualità di membro. Quella che la Cnn definisce “purga” si allarga poi a un altro comitato indipendente (almeno formalmente) interno al Pentagono, il Defense Business Board. Lì sono entrati Corey Lewandowki, che fu managing director della campagna di Trump e Pence per il voto del 2016, e David Bossie, che ne fu vice per quell’avventura, presidente dell’influente gruppo d’interesse conservatore Citizens United.

LA PARTITA PER BIDEN

Sarà nelle disponibilità della prossima amministrazione rivedere la composizione dei vari comitati interni. Certo, il Pentagono che si presenterà a Joe Biden e (forse) a Lloyd Austin si presenta monco della leadership degli ultimi anni, e politicamente ostile in quegli organi che dovrebbero invece essere estranei alle logiche partitiche. Un contesto che si intreccia alla partita per la conferma dello stesso generale Austin, forse la più delicata per la nuova amministrazione, poiché richiederà la compattezza del Partito democratico proprio sul tema del controllo civile del Pentagono.

Così il Pentagono finisce al centro delle manovre di Trump e Biden

Dopo la serie di dimissioni delle scorse settimane, Trump ha piazzato ai comitati “indipendenti” del Pentagono i suoi fedelissimi. Lascia un contesto tutt’altro che accogliente a Joe Biden e (forse) al segretario alla Difesa da lui designato, Lloyd Austin III. La partita per la sua conferma potrebbe essere la più delicata per la nuova amministrazione

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