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Troppo facile parlare di lupo solitario. Troppo presto per gridare al ritorno dell’Isis. L’assassinio a Parigi del professore di liceo Samuel Paty, decapitato da Abdoullakh Abuyezidvich Anzorov, ceceno, diciottenne, in Francia con lo status di rifugiato, lascia una scia di sangue e orrore oltralpe. Ma anche tanti interrogativi irrisolti. Il jihadismo è davvero un problema solo francese o l’escalation di violenza fondamentalista deve mettere in guardia anche l’Italia? Il Covid-19 aiuta i radicalizzati a colpire? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Manciulli, già presidente della Delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato e studioso di Terrorismo jihadista, oggi presidente di Europa Atlantica.

Manciulli, siamo di fronte a un fenomeno nuovo?

In parte. Ci sono aspetti chiari, altri da chiarire. Tra i primi, il concepimento del crimine. Nasce dalla rete, ancora una volta. Il fondamentalista è ceceno, e neanche questo sorprende più di tanto. Dalla Cecenia proviene una parte consistente dei combattenti dell’Isis. Non solo in Daghestan, in tutto il Caucaso la radicalizzazione cresce a vista d’occhio. La guerra in Nagorno-Karabakh ha svelato la presenza di ex mercenari che hanno combattuto in Siria.

Ma?

Ma ci sono anche elementi inediti. Non è un lupo solitario, ne rispecchia alcune caratteristiche. L’intera vicenda si svolge in un lasso di tempo brevissimo, pochi giorni, senza una lunga preparazione. Parte da una scuola. Un segnale anche per l’Italia: il decreto antiterrorismo che abbiamo approvato nel 2015 torna più attuale che mai.

Entriamo nei dettagli. La nuova scia di attentati ha a che vedere con il virus?

Il coronavirus ha lasciato a casa milioni di persone, accrescendo a dismisura il pubblico del web e di conseguenza la presa della propaganda fondamentalista. La fascia giovanile è quella più esposta. Per questo l’unico modo per frenare l’ondata di radicalizzazione è intervenire sul mondo dell’istruzione. Se non ci occupiamo di mediazione culturale è difficile svolgere attività di prevenzione. Questo, del resto, era il cuore della legge sul contrasto preventivo alla radicalizzazione jihadista che avevamo presentato con Stefano Dambruoso. Spero che passate le emergenze epidemiche quel progetto possa vedere finalmente la luce.

Perché la Francia non riesce a fermare l’escalation?

Non penso sia opportuno dare i voti. La Francia è uno dei Paesi più esposti in Europa, per la composizione della popolazione e la presenza di seconde e terze generazioni di immigrati. Poi la Francia è in questo momento molto esposta nel Sahel con l’operazione Barkhane. Quell’area sta diventando il nuovo hub del Terrorismo dove i jihadisti si intersecano a ogni tipo di traffico creando una miscela veramente pericolosa. Ma c’è di più.

Cioè?

La Francia ha una cultura della laicità molto accentuata, come dimostrano le piazze piene per Paty che le deriva dall’illuminismo. L’idiosincrasia fra potere temporale e spirituale, fortunatamente, in Occidente è stata risolta tanto tempo fa e non senza traumi. La società islamica ancora non ha risolto questo problema e il rapporto fra laicità e religiosità è davvero complicato. Se non si tiene conto anche di questo si rischia di andare fuori strada.

Come mai in Italia non ci sono stati casi simili?

Ci sono ragioni strutturali. Ad esempio, in Italia non c’è un’immigrazione permanente come in Francia, ci sono meno seconde generazioni. Ma il web non lascia indenni neppure noi. Specie fra i più giovani.

È da escludere un ritorno di attentati coordinati da organizzazioni esterne?

Nessuna ipotesi è da scartare. Il futuro del terrorismo islamico in Europa è una grande incognita. La dimensione fai-da-te, la radicalizzazione giovanile saranno sempre presenti, ma non bisogna abbassare la guardia su forme di terrorismo più tradizionali. Dal Sahel ai Balcani, ci sono gruppi come Al-Qaeda che, nel silenzio, si ricompongono. E si preparano a tornare in azione.

Caso Paty, così si mettono ko i jihadisti. Parla Manciulli

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