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Dopo mesi in cui abbiamo visto figure di spicco della monarchia saudita impegnate in contatti con paesi partner per spingere una linea anti-turca – per esempio i viaggi del ministro degli Esteri, Faisal bin Farhan, nel Nordafrica mediterraneo e anche in Europa (in uno in Lussemburgo per esempio partecipò a una riunione di alcuni ministri degli Esteri europei organizzata dall’omologo cipriota col chiaro intento di costruire una pozione politica contro Ankara) – attualmente qualcosa di diverso si intravede all’orizzonte.

“L’Arabia Saudita ha avuto mesi di allineamento evidente con gli Emirati Arabi su una posizione chiara: trattare la Turchia come una minaccia e un rivale strategico”, spiega Cinzia Bianco, analista esperta di Golfo Persico che parla con Formiche.net dall’ufficio di Berlino del think tank paneuropeo Ecfr. “In più dobbiamo considerare che c’è stato anche un boicottaggio anti-turco informale, mai ratificato formalmente, ma spinto attraverso un tam tam mediatico sponsorizzato da diverse figure di rilievo, come il presidente della Camera di Commercio saudita, che invitava i concittadini a non usare prodotti turchi, a non viaggiare in Turchia, a non investire in Turchia. Dichiarazioni che erano evidentemente imboccate dalla leadership di Riad”, aggiunge Bianco.

Poi, in modo più evidente nelle ultime settimane di novembre, è in parte cambiato il quadro. Le dinamiche si sono mosse nell’ambito del G20, che quest’anno era presieduto dall’Arabia Saudita. Il protocollo del formato richiede che il capo di Stato ospitante tenga conversazioni dirette con gli altri Paesi membri, e così Re Salman ha aperto un dialogo telefonico con Recep Tayyp Erdogan da cui è partito un apparente avvicinamento. Il G20 ha fatto da pretesto? “La distensione che stiamo vedendo – risponde Bianco – è per ora retorica, e sembra una mossa tattica dei sauditi che hanno sfruttato l’opportunità offerta dal G20 per calmare uno dei tanti fronti aperti”. Secondo l’analista italiana, Riad ha consapevolezza di essere invischiata in una serie di dossier delicati e irrisolti che possono attirare l’attenzione negativa internazionale.

“Fronti regionali, geopolitici e politici. Una serie di vulnerabilità in un momento molto delicato, ossia l’elezione di Joe Biden. La leadership saudita è stata colta impreparata dalla vittoria del democratico a Usa2020, e si trova davanti un presidente eletto che si è già esposto in modo severo, accusando Riad di avere una questione non sostenibile sui diritti umani e di portare avanti un atteggiamento eccessivamente aggressivo sul fronte della politica estera”, spiega Bianco.

Se la prima delle accuse, quella sui diritti, è una questione di politica interna, riguarda il trattamento dei dissidenti, e difficilmente Riad avrà intenzione di discuterne pubblicamente; l’altra, quella dei comportamenti in politica estera, si lega al tentativo di de-escalation con la Turchia: “Vogliono trovarsi pronti e riposizionati in una maniera più potabile per quando inizierà la presidenza Biden e poter affrontare più facilmente quelle preoccupazioni riguardo a una nuova possibile postura americana. Una mossa tattica, in extremis per abbassare la temperatura geopolitica nella regione”.

Essenzialmente dunque i sauditi hanno scelto di cedere in parte con la Turchia per avere meno rivali, sia nella sfera dell’opinione pubblica arabo-islamica (all’interno della quale si gioca la partita dell’intra-sunnismo tra Riad e Ankara), sia rispetto a quella regionale e internazionale e non essere additati come trouble-maker. Questo genere di tentativi stanno andando avanti, senza troppe pubblicità anche con il Qatar.

In questi giorni, il genero-in-chief Jarred Kushner – a cui il presidente Donald Trump ha affidato le relazioni con il Golfo (anche per la continuità generazionale del marito di Ivanka con alcuni degli eredi al trono più importanti della regione) – è in viaggio tra Riad e Doha. Sul riavvicinamento tra i due Paesi del Golfo gli Stati Uniti hanno (per interessi diretti e di stabilità del quadrante) cercato di mediare, ma finora senza troppo successo. Ora i sauditi sembrano più aperti, anche per offrire l’alleggerimento col Qatar in dote a Biden. Per Trump sarebbe un successo da rivendicare come legacy, per i qatarini – sulla stessa sponda turca nel dibattito intra-sunnita – il risultato riguarda la fine dell’isolamento (non poco).

“Si tratta di tentativi fragili e temporanei, appunto tattici e forse tardivi. A livello di ragionamento, ma attenzione non parliamo di fatti, c’è una linea simile anche riguardo all’Iran. Riad non vuole alienare l’amministrazione Trump e dunque formalmente sta sostenendo gli ultimi giri di sanzioni e la posizione dura con Teheran, ma non supporta le azioni dirette nei confronti dell’Iran come l’assassinio dello scienziato Fakhrizadeh. Piuttosto preferiscono azioni trasversali contro l’influenza geopolitica che gli iraniani giocano in Iraq o Yemen, ma non vogliono mosse aperte, perché (come per Turchia e Qatar) stanno cercando di mostrarsi meno aggressivi agli occhi di Biden”, chiude Bianco.

(Foto: Wikipedia)

Effetto Biden. Ecco perché l’Arabia Saudita muove su Qatar e Turchia

La leadership saudita cerca un avvicinamento tattico alla Turchia e al Qatar per non mostrarsi troppo aggressiva agli occhi del nuovo presidente Usa Joe Biden. Un atteggiamento mentale (non fattuale) con cui Riad guarda anche a Teheran, spiega Cinzia Bianco, analista esperta di Golfo Persico del think tank paneuropeo Ecfr

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