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La svolta segnata dal discorso di Matteo Salvini di sabato scorso è già stata analizzata da molti autorevoli commentatori. Il dato più rilevante è certamente la ritrovata centralità del leader della Lega, che non ha perso l’occasione dell’incarico a Mario Draghi per lanciare un segnale tanto importante quanto inatteso e fragoroso al mondo dei moderati italiani.

Per lui si trattava di una specie di last call, mancando la quale avrebbe perso, forse definitivamente, la possibilità di candidarsi a guidare il Paese. In poche ore, ha ribaltato gli equilibri del centrodestra italiano, isolando Giorgia Meloni nel ruolo di rappresentante della destra conservatrice, di cui è alla guida anche in Europa e rendendo ancora più marginale e ininfluente la stessa Forza Italia. Non ponendo veti, ha poi spiazzato completamente la sinistra e il M5S. Solo un capolavoro tattico? Personalmente non credo.

È stato giustamente evidenziato il lavoro fatto da Giancarlo Giorgetti, che da tempo predica lo spostamento della Lega verso il centro, collocazione naturale di gran parte dei propri elettori. E lo fa per convinzione: la scelta atlantista, le aperture al popolarismo europeo, i buoni rapporti con il mondo tedesco sono nelle corde del vicesegretario.

Tuttavia, senza la decisione di Salvini, la svolta non si sarebbe realizzata. Nel suo discorso dopo le consultazioni si sono colti segnali di reale cambiamento: ha capito – per convenienza o per convinzione – che il Paese gli chiedeva questo.

Dunque, grande lavoro di Giorgetti ma piena assunzione di responsabilità da parte di Salvini.

Che i due non si amino non è un mistero, ma, come in tutte le organizzazioni, la dialettica interna, anche se aspra, porta frutti positivi. In questa strana coppia, Salvini non può fare a meno della lucida visione strategica di Giorgetti, il quale, a sua volta, dipende dalla straordinaria capacità di Salvini di comunicare attraverso messaggi semplici e diretti.

Ha sorpreso molti l’apertura di credito da parte di Salvini verso Draghi, ma io credo che la stima manifestata verso l’ex governatore della Bce non sia solo di facciata.

Anche Salvini e Draghi sono una strana coppia. Il primo è un torrente in piena, il secondo un fiume che scorre tranquillo, ma entrambi servono per portare l’acqua al mare.

Cosa accadrà ora non è dato di sapere, ma tutto fa presumere che la partnership tra i due abbia più probabilità di consolidarsi che di incrinarsi. Se non altro per convenienza reciproca, ma credo anche per una reale convergenza su alcuni temi, a partire dalla difesa intelligente degli interessi nazionali.

Non si può dimenticare che a Francoforte Draghi mise in atto le storiche misure per il salvataggio dell’euro avendo contro i grandi poteri delle banche tedesche, che lo accusavano di difendere gli interessi degli spreconi italiani. Il Mario nazionale non fece mai una piega, forte, peraltro, dello scudo di una certa signora Angela Merkel, come già scrivevo cinque anni fa su queste stesse pagine.

Draghi ha salvato l’Europa salvando l’Italia, e viceversa. Salvini lo sa, e sa anche che oggi la percezione degli italiani nei confronti dell’Europa ha invertito la tendenza al ribasso, grazie alle centinaia di miliardi messi a nostra disposizione.

Dunque, gli scenari europei sono sempre più determinanti.

Draghi ha una straordinaria sensibilità per il mantenimento dell’equilibrio tra libertà di iniziativa, solidità dell’economia e coesione sociale. Si chiama “economia sociale di mercato”, affonda le radici nella dottrina sociale cristiana ma vale per tutti. Campeggia in cima a tutti i documenti programmatici ed elettorali del Partito Popolare Europeo. “Soziale Marktwirtschaft”, il concetto lanciato nel 1949 da Konrad Adenauer e vero mantra della Cdu, che ha garantito alla Germania uno sviluppo prospero ed equo.

Ecco in che direzione porterà l’agenda di Draghi, in Italia e in Europa: basta riandare al suo straordinario intervento all’ultimo Meeting di Rimini.

Potrà essere questa anche la direzione che prenderà la grande imbarcazione leghista? Il timoniere Salvini ha cominciato la virata, ci vorrà tempo ma con la vedetta Giorgetti la rotta sembra tracciata, e da Bruxelles tutto viene osservato con molta attenzione.

La destinazione finale della Lega potrà essere l’approdo nel Ppe? è presto per dirlo, certo si potrebbe almeno aprire un dialogo: a differenza di Orban, che governa con metodi illiberali, la Lega ha sempre governato il Paese e le più importanti regioni rispettando le regole della democrazia. Un Ppe senza Orban e con Salvini? Oggi sembra fantasia, ma la politica è anche l’arte di rendere possibile l’impossibile.

Se la vedetta Giorgetti e il nocchiero Salvini continueranno la virata, nessuna destinazione sarà loro preclusa. E se è vero che non c’è vento favorevole per il nocchiero che non sa dove andare, è anche vero che non c’è vento contrario che non possa essere vinto da chi sa dove vuole andare.

Però, quando si intravvede la costa, bisogna mandare segnali.

Ad esempio, facendo uscire subito il gruppo degli europarlamentari della Lega dalla alleanza autolesionista fino al suicidio politico con la Le Pen e con l’estrema destra tedesca di AFD.

Prima destinazione, gruppo misto. Da lì, i flutti potrebbero calmarsi e la rotta in direzione PPE diventare più sicura. Lenta, forse, ma sicura.

Penso che anche a Draghi non dispiacerebbe affatto.

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