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Le grandi imprese in Italia sono circa 3.400 e, pur rappresentando solo lo 0,1% delle sue aziende, occupano il 20,7% dei loro addetti, generano il 31,7% del valore aggiunto e realizzano il 41,3% degli investimenti, trainando nei comparti strategici, siderurgia, automotive, aerospazio, chimica, energia, agroalimentare, Ict, navalmeccanica, tac – ramificate supply chain. (fonte, Annuario Statistico Italiano 2019-Istat).

Questa funzione trainante è ancora più avvertita nell’Italia meridionale, ove si localizzano – solo per citare alcune megafabbriche – lo stabilimento siderurgico di Taranto (8.200 addetti diretti), la Fca a San Nicola di Melfi (7.247 occupati), la Sevel in Val di Sangro (6.500), tutte supportate da filiere di attività indotte; impianti di componentistica con elevati tassi di occupazione facenti capo a Td-Bosch, Marelli, Magna, Skf, Bridgestone, Denso Manufacturing, Adler, in diverse regioni; le maggiori raffinerie nazionali a Priolo, Augusta, Milazzo e Sarroch; vasti stabilimenti aeronautici della Leonardo e della Avio nel Napoletano, a Foggia, Grottaglie e Brindisi; potenti centrali elettriche di Enel, Edison, Sorgenia, Enipower, Erg in varie province; impianti petrolchimici della Versalis a Brindisi e Priolo; costruzioni navalmeccaniche di Fincantieri a Castellammare di Stabia e Palermo con l’imponente Arsenale della Marina Militare a Taranto; la fabbrica a Catania di assoluto rilievo nazionale nell’Ict della STMicroelectronics con 4.200 persone; avanzati impianti farmaceutici fra gli altri di player come Novartis, Pfizer, Sanofi, Merck, Dompé; stabilimenti cartotecnici dell’Istituto Poligrafico dello Stato a Foggia, del Gruppo Seda nel Napoletano e della Fater a Pescara; grandi fabbriche di materiale e segnalamento ferroviario a Napoli, Caserta e Reggio Calabria; i maggiori pozzi petroliferi on shore d’Europa in Val d’Agri e nella valle del Sauro in Basilicata ove estraggono Eni, Shell, Total, Mitsui; cementerie di Buzzi Unicem, Italcementi, Colacem; vetrerie di multinazionali come Pilkington e Owens Illinois; decine di siti di alcune delle maggiori industrie agroalimentari italiane ed estere come Ferrero, Barilla, Granarolo, Parmalat, Coca Cola, Birra Peroni, Unilever, Heineken, Casillo, De Cecco, Divella, Princes Mitsubishi, Valfrutta, Orogel, Giv, La Doria.

Queste industrie hanno aumentato l’occupazione, o almeno la stanno conservando anche in tempi di pandemia, alimentano solide le filiere collegate, attraggono nuovi investimenti anche dall’estero, sviluppano competenze coerenti con l’offerta di lavoro locale. Secondo dati del Mise, nel periodo 2013-2018 il 68% delle agevolazioni complessive è stato riservato alle Pmi e il 32% alle grandi imprese. Inoltre, dei 3,8 miliardi di incentivi accordati alle Pmi, 2,3 miliardi lo sono stati da Amministrazioni centrali e 1,5 miliardi da quelle regionali. Nello stesso periodo anche le grandi imprese hanno goduto di 1,6 miliardi di agevolazioni da Amministrazioni centrali e 260 milioni da quelle regionali.

La Regione Puglia con il suo sistema di incentivazione per le grandi imprese incentrato sui contratti di programma, fra il 2014 e il 2020 ne ha finanziati con 458 milioni ben 62 che hanno avviato investimenti per 1,2 miliardi, di cui 491 milioni destinati ad attività di ricerca e sviluppo, con un’occupazione complessiva di 15.614 unità, di cui 1.322 nuovi addetti.

Ora anche nel nuovo ciclo di investimenti con fondi comunitari per il periodo 2021-2027 bisognerebbe continuare a consentire nel Mezzogiorno alle grandi imprese di beneficiare di incentivi per attività di ricerca e innovazione e per quelle relative all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili. Il nostro Paese e le sue aree meridionali devono difendere e valorizzare il patrimonio tecnologico e professionale delle grandi aziende, favorendone sempre di più in esclusive logiche di mercato sinergie con le Pmi.

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