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“La Francia è sotto attacco” ha detto il presidente Emmanuel Macron alla luce del fatto sanguinoso di Nizza e di quelli che contemporaneamente hanno interessato altre aree del Paese – un attentato sventato ad Avignone, un altro a Soutreville (vicino Parigi), ancora uno a Lione e infine l’attacco contro il consolato francese di Gedda, in Arabia Saudita.

Alla base dell’attentato a Nizza (e della serie di attacchi sventati nello stesso giorno) sembra esserci più di una coincidenza sebbene non emerga per ora un collegamento operativo. Quello che li lega è un elemento di politica interna, lo stesso rintracciabile nella vicenda macabra che ha coinvolto il professor Paty giorni fa e ancora prima la vecchia redazione di Charlie Hebdo: iperbolico definirla una guerra civile, ma una condizione di conflittualità interna al tessuto francese esiste.

“Il presidente Macron ha dichiarato di voler combattere l’Islam fanatico perché pensa che la tendenza di certe sacche demografiche ed etnico-culturali a dividersi, separarsi, dal resto della popolazione possa creare un problema di tenuta sociale. Un quadro complesso dove si incrociano questioni confessionali e politiche, nonché geopolitiche”, commenta con Formiche.net  e Giampiero Massolo, presidente di Fincantieri, già direttore del Dis, funzionario che ha toccato i massimi livelli del mondo diplomatico italiano, attualmente anche presidente dell’Ispi.

“Dobbiamo partire dall’idea – continua – che siamo in due cicli storici diversi: l’Occidente ha risolto da secoli il problema di separazione dello Stato dalla religione, cosa che invece fatica a fare il mondo islamico, dove siamo ancora lontani dalla comprensione che il principio della libertà di espressione non è contro qualcuno, ma è parte della libertà interna agli Stati”. Una questione di fondo, su cui si innescano tensioni, la prima della quale è il terrorismo jihadista: “La debellatio dello Stato islamico, il terrorismo che ha provato a ergersi a Stato, non si è portata dietro la fine della volontà di imporre l’egemonia cultuale ideologizzata dai fanatici islamici”, spiega Massolo.

Quelle di questi giorni sono con ogni probabilità azioni di singoli individui, non sembrano esserci regie su quanto accaduto, ma c’è un clima culturale alla base. “Il proselitismo dei radicali islamici e l’esaltazione dell’azione contro la laicità ha fatto sì che la Francia diventasse un obiettivo pagante: a questo si lega la successione di ciò che è accaduto in queste settimane. Tutto poi ha trovato spunto da un tema centrale della libertà di espressione, il diritto alla satira”, che per l’Occidente è parte delle sfere della libertà (forse la più estrema) e per porzioni del mondo islamico è difficilmente concepibile, soprattutto se riguarda il Profeta (il riferimento tirato in ballo dall’ambasciatore Massolo è alle vignette sull’Islam e Maometto pubblicate e ripubblicate dalla rivista satirica francese Charlie Hebdo, già ragione dell’attentato alla redazione del 2015 e considerate il motivo che ha portato all’azione il fanatico ceceno che ha decapitato il professor Paty e ancora prima, tre settimane fa, all’accoltellamento davanti al palazzo che ospitava la sede del giornale).

A questo problema interno, profondo, e quasi endemico, legato al separatismo islamico e alla deriva terroristica, per la Francia se ne unisce uno esterno: l’attacco al consolato francese di Gedda fa parte dell’onda lunga alla reazione del mondo islamico al discorso con cui, durante i funerali di Paty, Macron ha difeso la libertà di espressione in Francia, e dunque il diritto di Charlie Hebdo e di chiunque altro di fare satira contro il Profeta. Situazione che il presidente turco Recep Tayyp Erdogan sembra aver subito cavalcato per intestarsi il ruolo di difensore dell’Islam, usando lo spazio di confronto già aperto con la Francia.

Ci sono anche questioni di carattere politico internazionale, o geopolitiche alla base di questo scontro Marcon-Erdogan? “Certamente. Esiste una dimensione politica: la Turchia non fa mistero di volersi ergere a guida del mondo musulmano sottraendo lo scettro all’Arabia Saudita. Evidente che questa linea che viene definita anche ‘neo-ottomana’, che è  un frutto di convincimento ma anche di linea geopolitica, ha un risvolto di carattere strumentale. Contemporaneamente affidarsi all’Islam politico per scardinare situazioni locali, per esempio un ritorno dell’Egitto alla Fratellanza musulmana che qualcuna accarezza ad Ankara, non è solo una questione ideologica, ma è anche l’opportunità di usare quei concetti ideologici per espandere la propria sfera di influenza”, spiega Massolo.

La crisi avviata sembra dunque piuttosto profonda. Apre scenari preoccupanti in un grande Paese europeo, e nelle relazioni dello stesso con un vicino controverso: la Turchia. Potremmo dire che diventa qualcosa che riguarda l’Europa stessa come blocco politico. Si è molto parlato di integrazione di Ankara in Ue, ci sono indubbi contatti e vantaggi nel dialogo Bruxelles-Ankara, ma restano perplessità sul ruolo di Erdogan e sulle sue mire (geopolitiche e ideologico-culturali, ammesso come abbiamo visto che siano categorie del tutto distinguibili).

“Va detto – continua Massolo – che la Francia dal punto di vista di unità nazionale mi sembra tutt’altro che indebolita. La laicità dello Stato è piuttosto un elemento unificante nella società francese, soprattutto in un momento in cui, come diceva Macron, ‘siamo sotto attacco’. Momento che fa crescere questo sentimento di unità. È evidente che esiste anche un riflesso sulla sfera politica interna, perché non dimentichiamoci che la destra francese di Marine Le Pen incalza proprio su certi campi anche in vista delle prossime elezioni. La gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza sarà dunque cruciale. Però secondo me l’idea di una Francia sotto attacco fa da collante e risalda i vincoli europei e la solidarietà nell’Unione”.

Approccio comunitario, dunque? “Questa unità – risponde Massolo – è fondamentale proprio perché in questo momento la questione non è solo ideologica, ma perché ci sono anche obiettivi geopolitici: che sia in Libia o in Siria, o nel Mediterraneo Orientale o nel Nagorno-Karabakh, aree di crisi in cui la Turchia è attiva. Che Bruxelles si ponga in maniera più coesa in certi scenari è un fatto fondamentale. D’altra parte non dobbiamo dimenticare che anche Erdogan ha esigenze di politica interna, e anche lui ha materialmente bisogno di coesione nazionale: e proprio da questo punto di vista, un Erdogan indebolito potrebbe offrire spazi all’Ue per trattare da una posizione più forte e cercare di contenerne le ambizioni”.

Francia

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