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La Francia lascia, “temporaneamente”, la missione Nato Sea Guardian: il pretesto è lo scontro tra la fregata francese “Courbet” e una nave della marina turca impegnata a scortare una nave cargo, sempre turca, diretta in Libia. Il motivo è, in realtà, l’impossibilità di far conciliare gli interessi di Parigi con quelli di Ankara.

Nel frattempo, in Senato si sono votate le missioni internazionali, tra le quali spicca la novità della missione europea nel Mar Mediterraneo: Irini. Missione che al momento riflette diverse perplessità: una riguarda la reale efficace del principale obiettivo della missione, cioè l’attuazione dell’embargo di armi in Libia. D’altra parte, non aver messo tra gli obiettivi primari l’interruzione del traffico di migranti, pone leciti interrogativi sull’impatto strategico della missione, anche considerando il peso specifico sulle spalle di due attori che avranno un impegno notevole nella realizzazione della stessa, Italia e Grecia, e della loro esposizione geografica ai flussi migratori.

È inoltre emersa una insolita spaccatura nella maggioranza proprio sul tema Libia, che si è tradotta con la richiesta da parte delle Senatrici Bonino e De Petris di un “voto separato” sulla risoluzione che prorogava le missioni già in essere: una nutrita parte della maggioranza non è concorde con la missione bilaterale di supporto e addestramento della Guardia Costiera libica. Voto compatto invece delle opposizioni, che però hanno evidenziato in fase di dichiarazione di voto perplessità su Irini e in generale sulla postura italiana in Libia.

Negli ultimi giorni, infine, è arrivata la notizia che la Russia riaprirà la sua ambasciata in Libia, con un incaricato d’affari a interim, Dzhamshed Boltayev, inizialmente basato in Tunisia. Lavrov, che ha annunciato la notizia, ha evidenziato che l’ambasciata “sarà temporaneamente in Tunisia. Ma le sue funzioni includono la rappresentanza della Russia in tutta la Libia”.

Uno scenario, quello contemporaneo, che non si differenzia di molto rispetto a quanto assistito dal 2011 in poi: l’impossibilità di delineare una strategia di lungo termine in seno alla comunità europea (figurarsi nella comunità internazionale), e continuare ad osservare un atteggiamento da “free riders” dei vari attori regionali e delle potenze internazionali al Grande Gioco libico.

Tale complessità è ben rilevata in Tripoli, Italia: la politica di potenza nel Mediterraneo e la crisi dell’ordine internazionale (Castelvecchi Editore), a cura del Prof. Antonello Folco Biagini ed appena uscito in tutte le librerie e bookstore. Come sottolineato da Gabriele Natalizia (Sapienza Università di Roma e coordinatore del Centro Studi Geopolitica.info), l’ex presidente americano Obama aveva infatti evidenziato, nei mesi successivi alla destituzione di Gheddafi, che il più grande errore della sua presidenza era stato proprio non aver mai definito una vera strategia “post-Rais”, e che il comportamento da free riders dei Paesi europei abbia agito da benzina sul fuoco dell’instabilità.

Per Natalizia, inoltre, è impossibile disarticolare l’attuale crisi nel “Mare Nostrum” dalla crisi dell’ordine liberale: impossibile, quindi, comprendere cosa sta avvenendo in Libia senza avere una chiara comprensione della relazione che intercorre con i mutamenti che sono in corso sul piano sistemico. Le sfide che le potenze “revisioniste” (si veda la National Strategy Security ’17 di Trump) come Cina e Russia hanno lanciato all’unipolarismo statunitense, e la strategia di retrenchement che gli Stati Uniti hanno iniziato con l’amministrazione Obama, sono fattori che influenzano in maniera determinante l’arco di crisi che dal 2011 sconvolge il Mediterraneo, e che trovano oggi nello scenario libico la plastica rappresentazione di questa instabilità sul piano globale.

Crisi, che a partire dal 2011 si è allargato a tutta la regione Medio Orientale, come descritto da Salvatore Santangelo (Università degli Studi “Tor Vergata”) nel capitolo dedicato al “fallimento” delle Primavere arabe, e che la nuova guerra civile libica derivante dall’avanzata di Haftar iniziata ad aprile 2019 ha riportato al centro del Mediterraneo.

In questo contesto estremamente precario, l’Italia sembra aver perso tutti i suoi principali punti di riferimento come mostrato da Lorenzo Termine (Dottorando in Sapienza Università di Roma e Fellow del Centro Studi Geopolitica.info) nel suo capitolo intitolato “Un mondo diverso”. Nel suo essere una “media potenza”, in un contesto privo di un attore egemone in grado di proiettare la propria influenza nella regione, e a fronte di un paese decapitato dalla principale fonte di stabilità rappresentata da Gheddafi, a Roma è mancato un perno intorno al quale costruire la propria politica estera.

Delegare ad un contesto multilaterale la ricerca di una soluzione nei confronti della crisi libica, ha restituito all’Italia una serie di difficoltà strategiche, dovute alla necessaria interlocuzione con diversi attori e alla ricerca di eccessive sponde, che hanno causato l’obbligo per Palazzo Chigi di perseguire obiettivi politici spesso in contraddizione tra loro. Una contraddizione che alla luce della diatriba sulle politiche militari in Libia, a cui si è assistito in Senato il 7 luglio durante il voto sulle missioni internazionali, non sembra essersi risolta minimamente.

Inevitabile, se si parla del rapporto tra Roma e Tripoli, è ripercorrere le condizioni che strutturavano il rapporto privilegiato del nostro paese con Gheddafi. Ed è l’obiettivo del capitolo di Leonardo Palma (King’s College) che passa in rassegna proprio le peculiarità di quella special relationship che ha contraddistinto il rapporto tra Roma e Gheddafi, fino ad arrivare a quelle settimane del 2011. Nel rileggere gli avvenimenti che si sono succeduti in quelle settimane delicate, si scorge un continuum che arriva sino ai nostri giorni: una costante riduzione dello spazio di manovra del nostro governo, dovuto a un colpevole ritardo delle decisioni e a fattori contingenti che hanno fatto emergere il ruolo di altri attori nell’area.

Il protagonismo di Francia e Regno Unito, sfuggito persino al controllo iniziale dell’amministrazione Obama, nel supportare i ribelli contro Gheddafi, fa il paio con il protagonismo turco, russo ed egiziano nello scenario odierno. E ci porta a una riflessione: è possibile riadattare la cosiddetta “diplomazia dell’amicizia” di Berlusconi con Gheddafi ai nostri giorni? Sembrerebbe questo l’obiettivo dell’attuale politica italiana in Libia, che prova a tenere un piede in due scarpe, come dimostrato dai numerosi tentativi di dialogo con tutte le fazioni in campo.

Tentativi che spesso hanno portato risultati contrari a quelli aspettati, come il “gelo” dopo l’appuntamento saltato l’8 gennaio del 2020 con Serraj, infastidito dal tentativo di Conte di riceverlo insieme ad Haftar nello stesso giorno senza esser stato avvertito preventivamente.
Come detto, Tripoli, Italia: la politica di potenza nel Mediterraneo e la crisi dell’ordine internazionale (Castelvecchi Editore), a cura del Prof. A. F. Biagini, racchiude diversi contributi di giornalisti e accademici italiani sul rapporto tra il nostro Paese e il vicino meridionale.

È un volume che, nei vari capitoli, prova a chiarire l’intricato scenario libico, con contributi che spaziano dall’analisi storica delle relazioni intercorse tra Roma e Tripoli durante il periodo coloniale, grazie ai contributi di Andrea Carteny (Sapienza Università di Roma) e di Alessandro Vagnini (Sapienza Università di Roma), passando per gli eventi del 2011 e inserendo la crisi del Mediterraneo all’interno del contesto di crisi che dal 2007-8 colpisce l’ordine internazionale.

Tripoli, Italia. Perché non impariamo le lezioni della storia

Di Lorenzo Zacchi

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