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Colpisce l’osservatore di questioni internazionali la quasi totale assenza sui media italiani dell’impatto della pandemia nella Repubblica di San Marino.

Un laconico lancio dell’Agi del 3 Aprile comunicava che il micro-Stato detiene il triste primato di paese con “la maggiore percentuale di contagi di Covid-19 al mondo” (sic).

Sono beninteso notizie che vanno filtrate (simili rivelazioni statistiche penalizzano i Paesi dalle piccole dimensioni) ma che nel passato, in coincidenza di crisi meno gravi, hanno giustificato approfondimenti alla ricerca del dato aneddotico.

E quanto a spunti di interesse e simbolismo, la piccola Repubblica ha pochi eguali. Enclave nel territorio italiano, per la sua configurazione e storia si è guadagnata la ribalta ed ha intrigato la fantasia di generazioni di curiosi del trinomio democrazia-sovranità-neutralità.

Eppure questa volta nulla è seguito nella opinione pubblica italiana, che resta disinteressata alle sorti del piccolo Paese, in realtà colpito molto duramente dal virus non solo nel campo sanitario, ma per colpa di questo rimasto intrappolato in una spirale che sembra volgere al peggio.

Con la demarcazione delle confinanti provincie di Rimini e di Pesaro-Urbino in zone rosse di fatto il sistema economico e sociale sammarinese ha visto tagliato il suo cordone ombelicale con l’Italia e – di conseguenza – con il resto del mondo, con un effetto moltiplicatore in peggio di una economia già fragile prima del virus a causa di un grave debito pubblico.

Tuttavia, ancora più di quella dei media, sorprende l’assenza di San Marino dalle priorità della politica estera italiana, che ha tradizionalmente occupato – come è normale per un’enclave – gran parte dei rapporti diplomatici sammarinesi.

Chiusa da tempo la stagione della “finanza creativa” (peraltro pare sviluppata con importanti complicità italiane) e scrollatosi di dosso l’appellativo di paradiso fiscale che non rendeva giustizia della sua storia millenaria, la piccola repubblica si è lanciata con convinzione nelle relazioni internazionali, sviluppando una rete diplomatica invidiabile per uno Stato delle sue dimensioni (34.000 abitanti) e con un notevole protagonismo nel multilaterale.

Il punto è che queste relazioni non si sono ovviamente sostituite ma semmai aggiunte ai tradizionali rapporti privilegiati e fondamentali con l’Italia, unico Paese ad avere a San Marino un ambasciatore residente e un’ambasciata funzionante a tutto tondo.

Con il crollo della dimensione multilaterale portata dal Covid-19 e il comparire di inaspettati paesi beneficiari di aiuti come appunto l’Italia, San Marino ha all’improvviso (sorte comune a tutti i micro-Stati) perso appeal come destinazione per i donatori in competizione.

Se questo calo di interesse, per quanto triste, è normale che accada nel contesto internazionale, sorprende invece che coinvolga anche l’Italia, che sembra non curarsene, come se la questione non la riguardasse da vicino. Richieste di aiuto da parte di San Marino a Roma sono rimaste finora senza risposta sostanziale né si intravvede all’orizzonte un cambio di passo.

I rischi per l’Italia di questo disinteresse sono molteplici e ci limiteremo qui ad elencarne i due principali. Il primo è di chiaro carattere geo-politico ed è la concreta possibilità che l’Italia perda il controllo di orientamento ed influenza sullo spazio sammarinese, eventualità fino ad oggi impensabile se non addirittura fantapolitica.

Abbandonata nel mare come una bottiglia con un messaggio d’aiuto, vi è il rischio che all’appello di San Marino rispondano altri soggetti facendovi confluire anche solo parte degli aiuti di emergenza e di ripartenza nel dopo-virus.

Né è detto che a farsi avanti come donatori siano necessariamente quelle organizzazioni internazionali o Stati-Nazione dominanti (su tutti, Cina e Russia) che si erano interessati alle vicende della piccola Repubblica prima dell’emergenza Covid.

Da un lato il Fondo Monetario Internazionale (che è in procinto di dare 20 milioni senza condizioni per l’emergenza sanitaria) ha però nella sostanza anticipato che a fronte di un suo eventuale aiuto più consistente, anche se non risolutivo, richiederebbe come da prassi una serie di riforme sociali dure da digerire in tempi normali, di fatto impensabili nella ripartenza post-Covid.

Dall’altro fondi sovrani riconducibili a Russia e Cina hanno in toto o parzialmente rivisto le loro strategie sui piccoli Stati, sia perché attratti dall’azione in nuovi macro-scenari più appetibili (come appunto l’Italia), sia perché a loro volta colpiti dalla crisi del Covid, sia perché cauti ad intervenire in un Paese che è si neutrale ma pur sempre collocato nell’area atlantica.

La concreta possibilità allora è che a correre in aiuto di San Marino sia un soggetto terzo, non necessariamente pubblico, ma rispondente a logiche di tipo speculativo. Il rischio sarebbe che con un importo relativamente basso, magari amplificato con un gioco di specchi ed escamotage finanziari, un fondo privato si aggiudichi uno Stato sovrano, con tutti i vantaggi immediati e le incognite future del caso.

Al netto del rischio di ingresso di un fondo sovrano e\o privato non italiano, la domanda che Roma dovrebbe porsi è se può permettersi di vedere pascolare indisturbato un potenziale Cavallo di Troia all’interno del suo territorio nazionale. Per di più collocato in un’area ad intensa attività produttiva come l’Emilia-Romagna, con 6.000 lavoratori italiani frontalieri fuori controllo dalle regolamentazioni nazionali.

Al netto di considerazioni geo-politiche sul medio-lungo periodo, nell’abbandonare San Marino il secondo e forse maggiore rischio l’Italia potrebbe pagarlo nell’immediato, vanificando essa stessa la sua richiesta di solidarietà europea portata con tanta veemenza dal governo Conte.

 

È infatti una palese contraddizione applicare a San Marino la stessa logica con cui ci parlano i paesi del Nord Europa quando siamo noi a chiedere gli aiuti europei. E che noi per primi non esitiamo a tacciare di egoismo e ottusità politica. Come stiamo cercando di spiegare alla Germania, gli aiuti alle spese della ripartenza devono essere divisi con criteri solidali europei a prescindere da considerazioni sul debito pubblico accumulato nel passato dai singoli Stati.

Nel momento in cui rispediamo sdegnati al mittente olandese la narrativa del “vittimista-paese-cicala” che chiede soldi al “sobrio-paese-formica”, a maggior ragione è ingiusto applicarla noi ai sammarinesi. Tanto più se si tratta di fratelli di sangue.

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