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Nel dibattito sulle relazioni tra Stati Uniti e Cina c’è molto “rumore”, causa anche la sopravvalutazione di Pechino da parte del mondo occidentale. A sostenerlo in un colloquio con Formiche.net è un grande esperto di questioni sinoamericane, Thomas Fingar, Shorenstein Aparc Fellow al Freeman Spogli Institute for International Studies di Stanford University, tra il 2005 e il 2008 a capo del National Intelligence Council sotto il presidente George W. Bush e in precedenza sottosegretario all’intelligence al dipartimento di Stato guidato da Colin Powell.

Che impatti avrà questa pandemia sui rapporti tra Stati Uniti e Cina?

Penso ci sia molto “rumore” attorno alla relazione tra Stati Uniti e Cina. Questa pandemia non avrà grossi impatti. Stiamo assistendo un ridicolo e inutile scaricabarile da entrambe le parti, comprese le accuse reciproche di guerra biologica. L’impatto maggiore riguarderà la cooperazione tra Stati Uniti e Cina nelle organizzazioni internazionali per combattere la pandemia, una cooperazione che viene ostacolata da questi scaricabarile. E quando i massimi esperti mondiali di salute non collaborano in situazioni del genere non vince nessuno, perdono tutti.

In pratica lei invita a fare l’opposto di quanto fatto dal presidente statunitense Donald Trump che ha scelto di tagliare i fondi all’Organizzazione mondiale della sanità.

Penso che quella sia stata una scelta assurda. L’Organizzazione mondiale della sanità ha certamente dei problemi ma non c’è alternativa a quest’istituzione per facilitare la collaborazione internazionale sui temi sanitari. Qualcosa è meglio di niente, alcune cose vanno fatte meglio e soltanto Washington e Pechino sono in grado di investire capitale politico in questa direzione.

Parliamo di aiuti e soft power. Come saprà l’Italia è uno dei Paesi “nel mirino” geopolitico della Cina. Questa benevolenza è dettata da ragioni economiche e strategiche (penso al 5G, per esempio)?

Non penso che la Cina sia così abile nel soft power. E non penso che l’Italia e il popolo italiano siano preparati ad abbandonare i loro valori profondi per ingraziarsi la Cina e ottenere assistenza economica. La decisione tecnica sul 5G va presa alla luce di considerazioni di sicurezza nazionale ma non vedo un maggior soft power cinese in connessione con ciò che sta accadendo sul coronavirus.

E quanto, invece, alla propaganda? Vengono in mente le dichiarazioni di alcuni diplomatici cinesi che hanno alimentato fake news.

Ho visto un forte contraccolpo negativo contro le dichiarazioni degli ambasciatori cinesi in tutto il mondo. I diplomatici cinesi sembrano ancora abituati al sistema dei media di regime, dove non possono essere criticati o se lo sono le critiche vengono rimosse. Ma certe cose, in quelle parti del mondo in cui i media sono liberi e indipendenti, vengono respinte molto velocemente. E penso che questo abbia sorpreso molto i cinesi.

Quali errori i leader occidentali commettono quando parlano di Cina?

Imputare alla Cina ambizioni e capacità oltre quelle che ha realmente. È ancora un Paese fragile. La sua immagine a livello internazionale è molto forte viste le performance economiche ma il miracolo economico è finito e il coronavirus ha accentuato la frenata. Inoltre, la Cina ha problemi interni alla luce della difficoltà di soddisfare le aspettative e le richieste della sua popolazione.

Stiamo sopravvalutando la Cina?

Assolutamente. Non è un colosso inarrestabile che sconfiggerà tutti gli altri Paesi economicamente. Inoltre il suo esercito, per quanto moderno, non è pensato per conquistare la regione né tanto meno il mondo. E dalla mia esperienza con la Cina mi pare che loro sappiano che il Paese non è pronto per assumere la responsabilità di garantire la stabilità del mondo e riconoscano che l’Occidente, nonostante scelte giuste e meno giuste, ha la pelle più spessa.

E se a novembre vincesse il democratico Joe Biden?

Non si tornerebbe all’era pre Trump perché i cambiamenti e le loro ragioni sono ben più profondi della personalità del presidente. Ci sono temi concreti, soprattutto economici, tra Stati Uniti e Cina, ma anche tra Cina e Occidente: la proprietà intellettuale e il commercio equo sotto il Wto, per esempio. Penso che un presidente diverso da Trump potrebbe cercare e trovare un’alleanza tra Paesi che la pensano allo stesso modo. Anche perché il sostegno politico alla strategia statunitense della Guerra fredda contro la Cina si sta esaurendo. Ci sono due elementi: il primo è rafforzare gli alleati degli Stati Uniti affinché siano forti e prosperi e quindi possano acquistare materiale dagli Stati Uniti, generando un circolo virtuoso per l’economia ma anche per la sicurezza dell’alleanza.

E il secondo?

Riguarda la reciprocità economica. Gli Stati Uniti sono molto più aperti dei loro partner. E trent’anni dopo la fine della Guerra fredda c’è buona parte del popolo americano che si chiede perché nonostante i nostri alleati abbiano le spalle larghe non si possa avere maggior reciprocità. Questo mi porta a dire che con Joe Biden presidente – cosa che io mi auguro – gli Stati Uniti si troverebbero a dover affrontare le stesse questioni ma le approccerebbero in maniera molto più collettiva, con i nostri alleati e partner. 

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