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Parafrasando Mao Zedong, grande effettivamente è la confusione sotto il cielo d’Italia durante queste difficili, maledette settimane: Stato contro regioni, regioni contro sindaci, sindaci contro ministri, scienziati contro politici, cittadini contro runner. Non tutto è perduto, fortunatamente: a salvaguardare l’unità nazionale viene in soccorso un antico, solidale sentire comune: tutti contro i burocrati. Squilla la fanfara della caccia allo “statale” che, soprattutto nella tempesta perfetta che l’emergenza sanitaria sta causando, si ostina a remare contro e frenare la ripartenza di un Paese con le gomme a terra: ogni intervento pubblico è inevitabilmente condito con una spolveratina di damnatio della burocrazia che appesta la vita pubblica. Roba seria, se persino Roberto Burioni, oggi una delle voci più ascoltate dalle pubbliche opinioni e dai decisori della politica, nel commentare la controversa vicenda delle dimissioni di Mauro Ferrari dal Consiglio europeo per la ricerca, commenta, sprezzante, che “l’Europa ha perso uno scienziato di altissimo livello, si tenga i burocrati”.

Burocrazia è la parolina magica, il prezzemolino di ogni pubblica, dolorosa arringa. Per capire meglio, val la pena partire dall’esempio offerto dai recenti scritti di due popolari giornalisti che, lancia in resta, hanno denunciato il profluvio di articoli e commi del “decreto liquidità” approvato dal Governo per sostenere l’economia italiana sotto scacco per le immani conseguenze dell’imperversare del Covid-19. Mattia Feltri e Gian Antonio Stella lamentano, infatti, che la cervellotica complessità normativa sia non solo incomprensibile ai più ma, in ultima analisi, inefficace rispetto agli obiettivi. “È piuttosto sconfortante – scrive Feltri su La Stampa – lo squilibrio fra i tempi dell’urgenza e la quantità degli emendamenti” (“Italoburocrati”, 7 aprile), mentre Stella, sinceramente preoccupato, sul Corriere (“Siate semplici”, 8 aprile) si danna al pensiero che “le più generose aperture, i più volenterosi obiettivi, rischiano di impantanarsi in un testo che si srotola per cento pagine in 37.157 parole, il quadruplo di quelle usate dai padri costituenti per la nostra Carta”. Entrambi, unendosi al coro dei cittadini vessati dal Moloch pubblico, puntano il dito contro l’Avversario, l’Oppositore, l’Antico Serpente, l’Angelo della Morte, il Caduto: il maledetto burocrate. Tutto chiaro? Cominciamo.

Capitolo 1: burocrati, burocrati ovunque. I Commissari europei? Burocrati. Gli scienziati europei che sfiduciano il loro Presidente? Burocrati. I ministri che firmano decreti indigesti? Burocrati. I medici che gestiscono l’emergenza? Burocrati. I Sindaci che emanano ordinanze? Burocrati. I Ministri che varano circolari? Burocrati. I dirigenti della squadra di calcio che vendono i giocatori? Burocrati. Si smarrisce del tutto il nucleo semantico della parola che, usata ormai come mero spregio e con altezzoso disdegno, va bene per chiunque. È l’insulto finale, un gradino al di sopra dello strangolatore di Boston. Inutile ragionare: il riflesso pavloviano non ammette tentennamenti o repliche. Tuttavia, piaccia o meno, i burocrati sono fra noi: sono nello Stato, nelle compagnie telefoniche, nelle banche, nelle società fornitrici di servizi essenziali, persino nel terzo settore. Sono quelli che oliano la macchina e che, a tutti i livelli e con compiti diversi, aiutano a spingere la carretta. Occorre rassegnarsi.

Capitolo 2: sono i burocrati a scrivere le leggi a loro uso e consumo. I funzionari e i dirigenti amministrativi, a tutti i livelli di governo, applicano quanto approvato dal decisore politico: lo spiega, mirabilmente, Sabino Cassese. Un ruolo lo hanno, naturalmente, anche i tecnici dei ministeri, alla luce del fatto che la decretazione degli esecutivi la fa ormai da padrone, essenzialmente per due motivi: da un lato la qualità di buona parte della rappresentanza politica è da anni in caduta libera e, con essa, la capacità di immaginare, elaborare e produrre leggi e riforme di ampio respiro; dall’altro, una società sempre più complessa richiede una regolazione complessa, altamente specifica, che esige la competenza dei tecnici. Le strutture burocratiche forniscono, ovviamente, il dovuto contributo alla loro Autorità politica di rifermento ma la responsabilità di sfornare e impiattare le porzioni spetta agli uffici legislativi e di gabinetto, retti da personale fiduciario della politica (solitamente preparatissimi esponenti delle magistrature amministrative e contabili) non appartenente alla struttura: tutto meno che burocrati.

Capitolo 3: di quelle leggi non si capisce un tubo, che peste vi colga. Sì, talvolta è così. E se non si capisce un tubo è perché questioni complesse vanno disciplinate in maniera complessa e adeguata alla bisogna. Spetta a chi di dovere tradurre per i non addetti. Tutti sanno per caso come funziona un motore a scoppio o una tomografia assiale computerizzata? Ci si inalbera col meccanico o col medico specialista? Solitamente si accettano i loro vaticini, magari borbottando, perché si conviene che quel che conta è la competenza in quel settore. Allo stesso modo, la tecnica legislativa è materia per specialisti: i tortuosi richiami che fanno venire l’orticaria a Feltri e Stella – e non solo a loro – sono necessari perché la norma deve dire, con estrema precisione, quel che deve per vivere all’interno di un ordinamento ampio, stratificato e oltremodo esteso, che risponde alle esigenze di una molteplicità di diritti e interessi. A meno di ricorrere ad un Salomone che, in nome della sua indubitabile sapienza, decida caso per caso tagliando a fette le questioni. Piace a tutti? A nessuno, probabilmente. E anche il dannato burocrate fatica non poco a interpretare il linguaggio sacerdotale della tecnica legislativa: d’altronde, come recita un popolarissimo mantra, è pagato profumatamente per farlo.

Capitolo 4: tecnica normativa sì, ma con giudizio. Tutto bene, allora, Madama la Marchesa? No, affatto. Se la tecnica legislativa è affare complesso per specialisti, non è necessario aggravare la situazione. Per intenderci: una cosa è la stesura di un insieme di norme che rispondono a specifici, avvertiti bisogni e che devono, ai fini della certezza delle diverse fattispecie, utilizzare un determinato linguaggio, al pari di una diagnosi medica. Altra cosa è, invece, la modalità con cui il Legislatore (diretto o delegato, nazionale o regionale) interviene per regolare quel tal caso. Disciplinare in maniera compiuta e puntuale serve a delimitare la fattispecie e fissare i confini per la successiva interpretazione e applicazione della norma. Al contrario, intervenire ripetutamente, in modo frammentato e incoerente, a seconda del vento che tira, da parte di un estensore che manca di visione e di respiro lungo, contribuisce a dar vita ad un affastellamento di norme che, tra cancellazioni incerte, rimandi in cortocircuito e mano malferma, aumenta la confusione a danno di cittadini, imprese e gli stessi burocrati, i quali si trovano sulla scrivania normative da decrittare il cui linguaggio si presta a molteplici e contrastanti interpretazioni. E, ciliegina sulla torta, l’incertezza del funzionario aumenta esponenzialmente a causa della spada di Damocle fatta dal coacervo di responsabilità contabili, penali, amministrative, civili e di performance che pendono, inesorabili, sul suo capo.

Insomma, se proprio si vogliono perseguitare i burocrati, almeno li si crocefigga per i loro peccati, non per quelli altrui. Dal Leviatano, per ora, è tutto.

Burocrazia for dummies (spiegata facile facile)

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