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Nel 2023 il mercato televisivo in Europa occidentale (ex UE15+CH+N) è cresciuto di appena l’1,2%, raggiungendo un valore complessivo di 76,4 miliardi di euro, rispetto ai 75,5 miliardi di euro del 2022 (a fronte di un tasso d’inflazione del 5,6% nello stesso anno). La Pay-TV ha contribuito maggiormente alla crescita del mercato, con un incremento annuo del 5% al termine di cinque anni di continua e ininterrotta crescita (CAGR +4,3%), rafforzando in questo modo la sua posizione di principale fonte di ricavi televisivi (58%). La pubblicità televisiva invece è diminuita, del -2,8% nel 2023 rispetto al 2022, tornando allo stesso livello degli anni pre-pandemia.

Questi macro-dati, di per sé estremamente indicativi seppur sintetici, danno però un quadro solo parziale della situazione, poiché il risultato complessivo nasconde diverse facce di una stessa medaglia. Di esse, in questo contributo ci focalizziamo soprattutto sull’analisi della pubblicità televisiva, che è sul punto di vivere un vero e proprio cambio di paradigma, come è già accaduto per la Pay-TV con l’esplosione dei servizi in streaming (Netflix & co.), che hanno ormai soppiantato la tradizionale Pay-TV lineare, del modello Sky via satellite per intenderci.

Il cambio di paradigma: da sistema TV a eco-sistema video

Va ricordato, in questa chiave, il crollo della pubblicità TV nel 2020, intorno al 12%, a seguito della pandemia e del lockdown che ne è seguito, che però già l’anno successivo era stato ampiamente recuperato, con un incremento vertiginoso del 18%, cui hanno fatto seguito nel 2022 e nel 2023 dei decrementi analoghi, di circa il 3% anno su anno. Di fatto, i ricavi oggi sono tornati a livelli leggermente inferiori a quelli del periodo pre-Covid, in cui erano già emersi i primi segnali di crisi, con ricavi stagnanti o addirittura in calo, persino rispetto ai valori registrati agli ultimi 10 anni.

Nel frattempo, crescevano gli investimenti nella pubblicità nei principali 5 Paesi europei (Big 5) che nel loro complesso hanno superato nel 2023 la barriera dei 100 miliardi di euro, grazie alla pubblicità online che ora è diventata, ampiamente, la principale fonte di ricavi nel media mix dell’Ue. Di converso, la televisione lineare è diventata in pochi anni una fonte secondaria, incapace di attrarre la maggior parte degli investimenti degli inserzionisti, che si sono spostati drasticamente verso i media digitali online (streaming VOD, piattaforme di condivisione video e social media).

In altre parole, più gli investimenti in televisione si riducono e si orientano verso Internet, più il mercato cresce. In effetti, l’Italia registra la quota di mercato più alta per la pubblicità televisiva (39%), seguita dalla Spagna (29%) e, a grande distanza, da Francia (20%), Germania (15%) e Regno Unito (13%). All’opposto gli investimenti pubblicitari online trainano la crescita dell’intero mercato pubblicitario, con Regno Unito e Germania che investono oltre l’80% del totale pubblicità sull’online, seguiti dalla Francia con circa il 70% e Spagna e Italia con quote inferiori al 50%. In valori assoluti il Regno Unito, che domina incontrastato la classifica, vanta la cifra record di 42 miliardi di euro, seguita dalla Germania, con 26,4 miliardi di euro e la Francia, con 17,2 miliardi di euro, mentre Italia e Spagna chiudono la classifica con 9,2 e 5,9 miliardi di euro rispettivamente. Questo significa che il Regno Unito da solo rappresenta il 42% del mercato totale, la Germania il 22%, la Francia il 16% e Italia e Spagna appena il 7% e il 5%.

Sempre negli ultimi 4 anni, anche il mercato dello streaming è cambiato, con i primi segnali di crisi dello SVOD (solo abbonamento) e l’ingresso di offerte solo pubblicità (AVOD puro) e di un modello VOD ibrido, con la pubblicità.

L’esempio emblematico è stato Netflix. Il gigante SVOD, che sembrava essere il leader incontrastato con una crescita inarrestabile, ha iniziato a rallentare il suo ritmo all’inizio del 2022. Per mantenere la leadership di Netflix e mantenere una crescita costante degli abbonati, Netflix ha sviluppato una strategia integrata basata su due fattori principali: il giro di vite sulla condivisione delle password e l’aggiunta di un livello di servizio più economico, finanziato dalla pubblicità. Ciò ha permesso di implementare un’opzione di condivisione a pagamento in cui gli utenti possono pagare un extra per gli account che condividono con altri. Questo è stato il motivo che ha spinto a cambiare il modello di business e a introdurre la pubblicità. Quella che ora sembra essere una storia di successo ha spinto i concorrenti a seguire la stessa strada, emulando lo stesso approccio.

Attualmente, dunque, si assiste alla forte crescita dei servizi VOD con la pubblicità, che hanno la possibilità di poter sfruttare al meglio, nel nuovo contesto digitale, il loro doppio vantaggio competitivo: più digitali/interattivi rispetto alla televisione lineare, generalista e gratuita, più convenienti economicamente rispetto agli altri servizi di streaming VOD.

Ciò nonostante, va però considerato come l’AVOD non stia compensando la perdita di ricavi pubblicitari nella TV lineare tradizionale, a differenza di quanto è accaduto nel settore della Pay-TV. In questa fase di transizione al nuovo ecosistema digitale, tutto basato sulla cessazione delle trasmissioni in broadcasting e sul trasferimento di tutte le offerte televisive sull’online, un ruolo ancora più importante sembra possano giocare le piattaforme di condivisione video (YouTube) e i media sociali (Tik Tok, Facebook, Instagram).

D’altra parte però l’AVOD sta diventando sempre più popolare, raggiungendo in pochi anni il 21% del mercato pubblicitario televisivo totale in Europa Occidentale, rispetto al 9% del 2019, mentre nel frattempo la pubblicità televisiva lineare ha continuato a diminuire ogni anno, negli ultimi quattro anni, in media del -7,4%! Nonostante si preveda nel 2024 un risultato migliore, dovuto a eventi sportivi di grande richiamo come gli Europei di calcio e le Olimpiadi di Parigi, il trend è ormai chiaro: gli investimenti guardano verso i servizi online.

A questo proposito, però, va sottolineato come la componente pubblicitaria legata ai media tradizionali ha contribuito in questi anni in modo diverso, in Italia, così come in Spagna, all’andamento generale dei ricavi complessivi del settore.

I due Paesi mostrano infatti una maggiore resistenza al cambio di paradigma, con quote di mercato AVOD ancora marginali – la metà rispetto a Regno Unito, Germania e Francia – a testimonianza anche della forza dei broadcaster tradizionali che operano nell’ambiente del digitale terrestre. Da questo punto di vista, il diverso livello di consumo di contenuti televisivi è un altro indicatore che evidenzia la differenza nel ruolo della televisione lineare in ogni Paese, ancora una volta largamente guidato da Italia e Spagna, in cui la televisione rappresenta la stragrande maggioranza del tempo dedicato al consumo video, a differenza degli altri tre Paesi in cui l’online tende ormai a prevalere.

In definitiva, l’Italia rappresenta il Paese più resistente alla transizione online, seguita dalla Spagna, che presenta molti elementi in comune. All’estremo opposto, il Regno Unito è il Paese più vicino all’esperienza statunitense, dove il passaggio dal broadcasting alla banda larga, anche da parte delle emittenti in chiaro, è ormai evidente, frenato solo dall’uso ancora limitato di Internet da parte delle generazioni più anziane. Nel mezzo, anche se in una fase diversa, Germania e Francia, dove il processo appare ormai già segnato e non reversibile.

Naturalmente, non è possibile in questa sede prevedere se e quando la Spagna e ancor più l’Italia imboccheranno la stessa strada. Quel che è certo è che molto dipenderà da quando le grandi emittenti nazionali intraprenderanno con convinzione questo percorso, visto il ruolo centrale che ancora rivestono nel contesto televisivo del nostro Paese.

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