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Si è avviato ieri a Roma il Sinodo dei vescovi per la regione Panamazzonica, un appuntamento molto importante della Chiesa Cattolica. Si tratta di una tappa del cammino della Cristianità verso la sempre più diffusa e sostanziale mondializzazione, un iter che invita a porre lo sguardo sul futuro dell’intera umanità.
La sintesi dei due anni di lavoro preparatorio a questo solenne consesso è stato senza dubbio il discorso di saluto che Papa Francesco ha rivolto ieri presso la Basilica di San Pietro. Bergoglio ha, fin dalle prime battute, chiarito le quattro dimensioni fondamentali di questo Sinodo: pastorale, sociale, culturale, ecologica. È un piano multiforme di scopi che hanno come meta ultima conferire alla Chiesa il ruolo più avanzato nella comprensione e nel governo dell’attuale globalizzazione.

Per chi fosse in attesa di un discorso banalmente terzomondista o volto irrimediabilmente all’indistinzione, di cui ha parlato audacemente ma inadeguatamente Ernesto Galli della Loggia, o, più originariamente, all’indifferentismo, già anatemizzato in modo definitivo dal Sillabo di Pio IX nel XIX secolo, ha potuto ricredersi facilmente ascoltando o leggendo le parole pronunciate ieri dal Santo Padre.

La Chiesa ha un’unica missione soprannaturale: annunciare, sotto la guida dello Spirito Santo, Gesù Cristo. Tale mandato imperativo si traduce, oggi come ieri, nell’inserimento della Redenzione nel cuore della Creazione, così com’essa si offre storicamente nel tempo presente. Attualmente il mondo intero è emerso come base materiale e spirituale del genere umano. Perciò la Chiesa deve farsi interprete, al pari di ognuno di noi, di una lettura universale che sia all’altezza di ciò che si rivela come ordine cristiano dell’umanità.

Francesco ha spiegato che l’avvicinamento ai popoli amazzonici deve essere vero, autentico, senza finzioni e manierismi. Bisogna andare in punta di piedi davanti a popolazioni che non solo hanno una loro dignità, ma posseggono un’identità nazionale forte, remota e tremendamente specifica. Il confronto tra la vecchia Europa e questa area sconosciuta del genere umano implica il cogliere a pieno la distinzione ontologica originaria delle singole comunità. Le nazioni sono differenti tra loro, rappresentando il modo in cui l’umanità si è concretizzata nel tempo in lingue e determinazioni specifiche, senza che ve ne sia una maggiore o superiore all’altra. “Tutti i popoli hanno una loro identità – ha proseguito Bergoglio – tutti i popoli hanno un modo di sentire, tutti i popoli hanno una loro saggezza, un modo di vedere la realtà, una storia, un’ermeneutica e tendono ad essere protagonisti della loro storia con queste cose, con queste qualità”.

Non è legittimo per nessuno, né per l’Occidente, né per qualsiasi altra civiltà, ergersi a giudice, avendo intenti di supremazia; è sbagliato tentare di disciplinare, modificare o addomesticare qualsiasi identità nazionale, così com’essa è in se stessa.
Anzi, è stato proprio il dimenticare questo portato naturale e storico che ha provocato la mentalità colonialista, quell’attitudine ideologica a voler imporre con una volontà di potenza la propria identità contro quella altrui. Men che meno la fede cristiana può mai diventare egemone in questo senso o farsi portavoce di violenza dominante.
Le ideologie universaliste, in primis il comunismo, hanno voluto trasporre e imporre ad altri popoli una visione parziale e falsamente universalista, senza tener conto che è nella diversità dei popoli che si dà la vera rivelazione di ciò che autenticamente è umano.
Non esistono popolazioni barbariche e civili: esiste soltanto un insieme multinazionale di culture, ciascuna differente dall’altra, che devono convivere tra di loro, rispettandosi e interagendo in modo virtuoso tra loro.

Se compreso adeguatamente, questo discorso del Papa è semplicemente vero. Punto. Per la Chiesa soltanto il tutto è la soluzione di ognuno, unicamente le diverse nazioni sono la ricchezza del globale, esclusivamente tanti popoli sono ingredienti reali dell’umanità.
Un Sinodo, pertanto, non è la ratifica di una soluzione a priori, ma un processo che si compie tutti insieme a posteriori. In effetti, pensare un mondo in grado di ordinarsi ad una convivenza pacifica tra tante nazioni e tanti popoli è l’unica maniera per poter difendere, oltre le diverse culture, il patrimonio di risorse naturali che devono servire per tutti gli esseri umani e per tutte le generazioni. Un’ecologia della verità è un ambientalismo delle nazioni: popoli specifici, delimitati, rispettati e sobri, senza consumismo o titanismo intemperante e distruttivo.

Il messaggio di Francesco è molto chiaro: egli pensa la Chiesa Cattolica come volano spirituale di un mondo nel quale non vi sia né una pianificazione omologata di individui, né un’egemonia di una civiltà sulle altre, ma in cui si instauri un multi-nazionalismo interculturale, nel quale convivano insieme l’universalità creata del genere umano, la particolarità tradizionale dei popoli e l’individualità esclusiva delle famiglie e delle persone, sotto la guida della divina umanità di Cristo.

La Chiesa di Francesco e il multi-nazionalismo. Il commento di Ippolito

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