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Queste riportate sotto rappresentano l’immagine della potenza del presidente americano nell’era di Twitter, ossia nella fase in cui un cinguettio (chiamiamolo così) vale in forma immediata miliardi di dollari, decisioni politiche, mosse e contromosse.

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Che cos’é? Si tratta della reazione istantanea dell’indice finanziario statunitense Dow Jones e di quello S6P 500 dopo un doppio annuncio di Donald Trump, che con un tweet dice che i negoziati sul commercio con la Cina – ripresi oggi a Washington (per il 13esimo round) – sono andati bene, “è stato un gran giorno”, e che domani vedrà alla Casa Bianca il vicepremier cinese Liu He, che è colui che i media americani definiscono con un’efficace semplificazione tipica dell’inglese “l’economia czar” del presidente Xi Jinping.

Liu He è il supervisore ultimo, collegamento diretto con Xi, di tutti i dossier economici del Paese, e quello che riguarda il modo per aprire una via a un qualche accordo con gli Stati Uniti che possa mettere fine – almeno momentaneamente – allo scontro globale sfociato sul piano commerciale ha un valore estremo, esistenziale per Pechino. Non a caso Liu guida la delegazione spedita dal governo cinese negli Stati Uniti.

Trump – che in questi giorni difficili ha una produzione di tweet che sta più o meno sulle dieci uscite all’ora – ha detto che adesso la Cina “vuole” un accordo, per poi lasciare in sospeso un “but do I?”, “io lo voglio?”. Chiaramente è una domanda retorica, perché per Trump come per Xi raggiungere un qualche genere di intesa è fondamentale, per il primo anche in vista della rielezione, che arriverà con ogni probabilità in un momento in cui l’economia americana entrerà definitivamente in recessione (tecnicamente c’è già).

Nel frattempo, comunque, ci sono molte informazioni a proposito di una pianificazione di più lungo termine all’interno dell’amministrazione americana con cui incalzare la Cina, sul fronte delle sue penetrazioni nel tessuto economico statunitense. Notizie che vengono fatte uscire anche per creare una sorta di leva psicologica sui cinesi, con l’obiettivo di ottenere più concessioni ai tavoli (dove teoricamente non si decide solo di riequilibrare il commercio, ma anche di questioni più ampie come la concorrenza cinese assistita dallo Stato, il furto di proprietà intellettuale, lo spionaggio industriale, i meccanismi di protezione verso gli americani che intendono investire in Cina).

A preparare il menù avvelenato contro l’economia cinese è stato Michael Pillsbury, China scholar dell’Hudson Institute e consulente esterno per il commercio della Casa Bianca. Lo schema è ampio, va dal facilitare l’inserimento di persone e società cinesi nelle black-list, alla riduzione delle esposizioni dei fondi pensione agli investimenti dalla Cina, ma non solo, perché tocca anche diversi nervi scoperti: propone di rafforzare il collegamento tra Usa e Taiwan, di lavorare finanziariamente per isolare il link Cina-Hong Kong, di avanzare sanzioni per le attività nel Mar Cinese Meridionale.

In queste ore Pillsbury è protagonista anche di un’altra vicenda: ha dichiarato infatti di aver ricevuto informazioni sulle attività commerciali di Hunter Biden durante una visita a Pechino nella stessa settimana in cui ha pubblicamente – e poi s’è scoperto anche privatamente – esortato la Cina a cercare eventuali magagne sul conto del figlio di Joe Biden, uno dei principali contender democratici alle presidenziali.

 

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