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Nessuno può dubitare che il mondo in cui siamo cresciuti versi in una profonda crisi. Ci sono diverse ragioni che hanno condotto a questo risultato. L’avvento d’internet e dei social media, come del globalismo, sono solo alcune fra le più influenti e la loro combinazione ha posto numerose sfide in tema di cyber security, relazioni sociali, migrazioni, guerre commerciali. Sono questi i comuni denominatori della crisi globale. L’Occidente, tuttavia, soffre anche di altro. Un protratto senso di confusione e diffusa ignoranza – specie nei confronti della storia ­­– che sta minando la nostra democrazia e i suoi doni più preziosi: il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, il desiderio di promuovere pace e prosperità. Questi benefici sono estremamente fragili e richiedono un continuo nutrimento per essere mantenuti in salute. Chi non crede oggi in un’Europa unita e nella Nato dimostra di non aver colto le lezioni essenziali dal nostro passato.

La maggior parte dei nuovi populisti o sovranisti rientra in questa categoria. Da Donald Trump alla Brexit, dai governi in Polonia e Ungheria al successo elettorale di Syriza, Podemos e il Movimento Cinque Stelle, la coalizione nazional-populista di Kurtz in Austria e Alternative für Deutschland in Germania, l’ascesa del populismo in Occidente sembra inarrestabile. Il mondo liberale che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi 70 anni versa in una crisi che non è comparabile a quella innescata dai vecchi regimi totalitari.

Il nuovo sovranismo ha in effetti pochi punti in comune con l’idea di nazione nata agli albori del ventesimo secolo. La xenofobia che oggi attraversa l’intera Europa non trova più fondamento nella superiorità della razza – era questo il caso del Fascismo e del Nazismo ­– riguarda piuttosto la difesa dei confini e delle identità nazionali. Oggi la crisi rappresenta qualcosa di profondo e radicale: la sconfitta della classe politica tradizionale. Grazie alla rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni, la relazione fra Stato e masse in Europa non è più mediata dai “professionisti della politica”. Le masse ­– e qui c’è un significativo punto di contatto con gli Stati Uniti ­– perduta la fiducia nelle istituzioni di governo, si sono sentite abbandonate e hanno preso il potere per governare da sole.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Le élites tradizionali europee hanno fallito anzitutto sul piano ideologico – culturale. Quando lo Stato nazionale ha aperto le porte all’ondata internazionalista, esse si sono piegate al fascino della globalizzazione, ma si sono dimostrate incapaci di gestirne gli effetti a beneficio delle persone. Le élites politiche hanno promosso una forma aggressiva di liberismo sul piano economico, di individualismo sul piano sociale, delegittimando il concetto di sovranità attraverso la riduzione dei confini nazionali. Questi i fondamenti teorici. Quali, invece, i risultati pratici?

Gli aspetti menzionati non sono stati gestiti, e questo fallimento ha portato alla delegittimazione pubblica della classe politica che li aveva promossi. Lo sviluppo di internet e dei social media ha dato alle masse un potere enorme e una connessione senza precedenti, facilitando l’indebolimento della classe dirigente che in passato si era interposta fra popolo e nazione. I tecnici della comunicazione hanno progressivamente sostituito i quadri di partito.

Piove sempre sul bagnato. Alla crisi di fiducia nella governance europea si è aggiunta l’esplosione del Medio Oriente e la diffusione del fondamentalismo islamico che lo ha attraversato fino ad arrivare in Africa e infine in Europa. La storia ci insegna che le idee sono contagiose. Le stesse “primavere arabe”, in fondo, hanno ricordato i movimenti che nel lontano 1848, a partire da Parigi, hanno spazzato in lungo e in largo il Vecchio Continente, trasformandone radicalmente l’ecosistema politico. Questi due fenomeni sono stati alla base di un’ondata migratoria senza precedenti che ha penetrato l’Europa e i suoi sistemi di protezione.

Ad uno sguardo ravvicinato, la tanto acclamata globalizzazione non ha dunque mantenuto le sue promesse. A cominciare dal diffuso benessere sociale per le classi medie. La rivoluzione tecnologica, non va dimenticato, ha infatti significato la distruzione, talvolta irreparabile, di diversi settori occupazionali, a partire dal piccolo commercio messo in crisi dall’e-commerce. La seconda promessa, quella di un mondo in pace, non è andata incontro a destino migliore. Organizzazioni liberali come l’Unione Europea vacillano sotto i colpi della politica nazionalista che percorre il continente. La loro sconfitta significherebbe la fine di un sogno condiviso costruito sulla convergenza di diverse culture.

Le vecchie élites europee non hanno saputo dare una risposta a questi fenomeni. Di conseguenza sono state ampiamente sostituite da individui poco preparati, inadeguati alla missione straordinariamente difficile di governare, che oggi vaneggiano di disastrose ricette nazionaliste e si autoproclamano campioni del populismo.

L’Italia, sfortunatamente, ne è esempio lampante. La filosofia sottesa al Movimento Cinque Stelle parte dal presupposto per cui il potere politico appartiene al popolo. Una teoria apparentemente in sintonia con l’idea di democrazia. E tuttavia, messa in pratica dal Movimento, si è trasformata in una negazione del potere politico così come noi lo conosciamo: tutti, senza alcuna eccezione, devono essere liberi di accedervi. Un’idea, questa, ben lontana dal concetto stesso di democrazia. L’arte di governare è fra le più difficili. Politici populisti e inesperti improvvisano senza una visione strategica che vada oltre la retorica. E così, una volta al governo, si dimenticano di servire le masse che erano state mobilizzate per votarli. L’esperienza italiana è, in questo senso, particolarmente infelice: l’economia è in contrazione, il settore industriale rimane debole, la fiducia degli imprenditori viene meno e “si stima una crescita anemica”. La turbolenza politica in Italia e negli altri Paesi europei, va da sé, non è di aiuto. Ciononostante il governo, piuttosto che concentrarsi sulle politiche economiche necessarie, grida contro “il nemico europeo”.

Le prime elezioni europee nell’era post Brexit sono fissate per maggio 2019 e saranno significative più che mai per il futuro dell’Unione Europea. Il conflitto politico ha abbandonato l’asse tradizionale destra-sinistra per posizionarsi sull’asse che divide nazionalisti e globalisti. I partiti socialdemocratici, un tempo pilastri del sistema politico europeo, sono in crisi, costretti ad assistere a una continua migrazione degli elettori verso i partiti populisti e nazionalisti. È dunque assai probabile che le forze sovraniste guadagneranno seggi, sebbene la campagna debba ancora iniziare. Il populismo si nutre di paura e, per continuare a vivere, ha bisogno di nemici e confini dietro ai quali il “popolo” si protegge. Questa non è – la storia ce lo ha insegnato ­– la giusta ricetta. Come arginare il danno?

L’obiettivo ultimo dei governi e dei partiti moderati dovrebbe anzitutto essere la restaurazione di un efficiente sistema di democrazia rappresentativa che tenga conto degli enormi cambiamenti innescati dalla rivoluzione portata dai social media. I partiti tradizionali devono prima di tutto riformare sé stessi per riguadagnare la fiducia nelle masse, ma non saranno in grado di farlo se non riusciranno a competere su quelle idee che i populisti proclamano bene e applicano male. Devono, infine, ricucire la frattura sociale che ha permesso al populismo di trasformarsi in populocrazia.

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