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Che cosa punta ad incassare il presidente turco Receyp Tayyip Erdogan in questa nuova turbolenza con il suo omologo egiziano? Davvero in ballo c’è solo la “partita ideologica” relativa alla Fratellanza Musulmana?

Le relazioni tra Turchia ed Egitto sono state praticamente inesistenti da quando l’esercito egiziano, guidato da Abdel Fatah Al Sisi, è salito al potere nel 2013, sostituendo Mohammed Morsi che era uno stretto alleato di Erdogan. Ma nel frattempo si sono sviluppate altre dinamiche altamente significative, come quella relativa al dossier energetico, che mettono Ankara nelle condizioni di elaborare una strategia diversa, non solo per i nuovi vettori propri (come il Turskish Stream) ma anche per quelli altrui, come Eastmed e Tap.

FRATELLANZA

Mercoledì scorso c’è stata l’esecuzione di alcuni uomini condannati per l’omicidio del procuratore generale egiziano nel 2015 e Erdogan ha colto lo spunto per polemizzare ancora con Al Sisi. L’Egitto ha messo fuori legge la Fratellanza Musulmana e l’ha bollata come un’organizzazione terroristica nel dicembre 2013, pochi mesi dopo la rimozione di Mohammed Morsi. E il presidente turco ne ha chiesto (invano) la liberazione.

“Prima di tutto, – ha detto Erdgan rivolto ad Al Sisi – dovrebbe liberare tutti coloro che sono stati incarcerati con un’amnistia generale: finché queste persone non saranno state rilasciate, non saremo in grado di parlare con Al Sisi. Ma dove sono gli occidentali? Qualcuno ha sentito le loro voci? D’altra parte, quando si tratta di persone imprigionate nel nostro paese (in Turchia), gridano al sanguinoso omicidio”, attaccando quell’occidente che ha “srotolato il tappeto rosso” per Al Sisi.

VERTICE

L’attacco non giunge in un momento casuale, ma a poche ore dal vertice di Sharm El-Sheikh dove l’Ue celebrerà il primo summit con la Lega Araba al fine di dare corpo ad una più stretta cooperazione nella politica dei rifugiati. Ma è evidente come il discorso scivolerà presto su sicurezza e commercio, ovveri sui conflitti in Siria e in Libia e sul dossier energetico con i nuovi gasdotti a cambiare pelle alle policies mediterranee.

Il vertice di due giorni sarà guidato da Al Sisi e dal presidente del Consiglio dell’Ue Donald Tusk anche per decrittare le nuove frontiere politiche di due quadranti altamente strategici, come quello euromediterraneo e quello mediorientale e, di conseguenza, immaginare nuove partnership.

Una di queste concerne il nuovo triumvirato del gas che si è cementato attorno a Egitto, Israele e Cipro il cui presidente, Nikos Anastasiadis, non solo può contare su un rapporto solido con Al Sisi ma sta tessendo una fitta rete di contatti e interlocuzioni anche con il primo ministro libanese Saad Hariri e con il re di Giordania, Abdullah.

L’obiettivo degli incontri è quello di aggiornare la cooperazione bilaterale e trilaterale e per evidenziare il ruolo di Cipro come pilastro europeo di stabilità e per migliorare le condizioni di sicurezza, di scambi commerciali e di new business.

OIL&GAS

Ma il “convitato di pietra” sia del vertice che delle ansie turche è evidentemente il comparto oil&gas, con il nuovo ruolo del Cairo che non è gradito ad Ankara. E per questa ragione ha deciso di ignorare gli appelli internazionali e va a caccia di gas nel Mediterraeo orientale al largo di Cipro, la cui parte settentrionale ha occupato dal 1974 rivendicandone il possesso che la comunità internazionale non le riconosce.

Ha inviato, quindi, due navi di perforazione in prossimità della Zona economica esclusiva cipriota, corredate anche dalle parole minacciose del ministro degli esteri Mevlüt Cavusoglu rivolto alle altre compagnie impegnate in attività di indagini e di perforazioni, tra cui l’americana Exxon Mobile, l’italiana Eni e la francese Total. E ha detto: “Dovrebbero sapere che non possono fare nulla senza di noi in quella regione”.

La texana Noble Energy nel 2011 ha effettuato la prima scoperta al largo di Cipro nel blocco di Afrodite che si stima contenga circa 4,5 trilioni di metri cubi di gas. Poi nel 2015 Eni ha individuato Zohr in Egitto mutando di fatto quello scenario in cui Ankara si infila con prepotete determinazione.

QUI ANKARA

Erdogan sta procedendo su due fronti: quello esterno legato alla geopolitica che investe Siria, Russia e Usa e quello interno con le elezioni amministrative che lo attendono a fine marzo. Per questa ragione non rallenta sul versante golpe. Il governo turco sta indagando su 295 presunti sospetti terroristi che avrebbero agito in occasione del tentativo di colpo di stato del 2016, che fino ad oggi ha prodotto arresti praticamente ogni giorno. I sospettati, legati al movimento del predicatore islamico Fethullah Gülen, sono tutti militari, accusati dai pubblici ministeri di aver comunicato con membri del movimento Gülen tramite la propria rete fissa o cellulare nelle ore del golpe. Il ministro degli Interni Süleyman Soylu ha dichiarato che nello scorso gennaio circa 15.000 soldati sono stati rimossi dal proprio incarico. In tutto dallo scorso lunedì 359 persone sono state arrestate, mentre nell’ultimo anno sono in totale 52.000.

twitter@FDepalo

 

Cosa c'è dietro la turbolenza tra Erdogan e Al Sisi?

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