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Non è un uragano, semmai più una tempesta tropicale. Il day after il Def (qui tutte le misure) sta cominciando a fornire le prime indicazioni circa lo scenario che si apre per l’Italia. Due numeri prima di tutto. La Borsa è scivolata quasi subito, portandosi in poco tempo a ridosso del -3% e poi al -3,7%, affossata dai titoli delle banche, il settore più esposto alla fiducia degli investitori verso il nostro debito (i bilanci bancari sono pieni zeppi di Btp). Lo spread invece viaggia oltre i 270 punti base, senza per il momento sfondare quota 300, come invece si aspettavano gli analisti.

I due principali contatori della fiducia nell’economia italiana, insomma, segnano rosso. Eppure, a onor del vero, la curva dei rendimenti, cioè il rapporto tra il tasso a 2 anni e quello a 10 anni resta su livelli tutto sommato rassicuranti. Il rendimento del Btp decennale è al 3% e quello sul biennale è all’1,06%. La distanza resta dunque intorno al 2,1% in favore del decennale, il che è un segnale positivo. Infatti quando il tasso del biennale tende a superare quello del decennale, significa che i mercati temono una ristrutturazione del debito o un default. In questa fase ciò non sta avvenendo, probabilmente anche perché la Bce sta intervenendo sui mercati acquistando titoli del debito pubblico italiano.

Detto questo, il problema c’è. Il fatto è che i mercati stanno prendendo coscienza che quanto messo in campo dal governo gialloverde ieri sera è qualcosa che va certamente incontro ai bisogni delle fasce più deboli e bisognose, ma manca una vera spinta alla crescita. Si è insomma pensato più a tappare delle falle piuttosto che dare un reale motivo alle imprese per investire nel Paese. Se a questo si aggiunge il fatto che con lo spread aumenta anche il costo del denaro e dunque le rate per quegli imprenditori che hanno contratto prestiti in banca, allora il conto è servito. A tirare le somme, c’è più assistenza che sviluppo. E pensare che il governo per intraprendere questa strada si è concesso spazi inesplorati sul disavanzo, rischiando di ingaggiare con l’Europa un corpo a corpo da qui alla manovra.

Non è quindi davvero un caso se Prometeia, uno dei più autorevoli centri studi italiani, abbia appena emesso un report in cui nella sostanza si dice che portare il deficit pericolosamente al 2,4% non servirà a granché in termini di crescita. “Portare il disavanzo al 2,4% del Pil per i prossimi tre anni rischia di avere effetto nullo sulla dinamica della crescita. Dalle poche informazioni al momento disponibili l’impianto della manovra sembra improntato verso misure di trasferimento e non verso misure che possano sostenere la crescita potenziale”, affermano gli esperti nel report.

Addirittura c’è un paradosso. E cioè che con la flat tax, fresca di inserimento nel Def, lo Stato incasserà anche meno. Nessuna invenzione, solo i calcoli, ancora, di Prometeia. “Nell’ambito della riforma della tassazione si inserisce l’intervento sui redditi dei lavoratori in proprio e dei professionisti titolari di partita Iva. Il progetto di riforma intende unificare le aliquote, innalzare la soglia di accesso aumentando anche quelle in termini di spese per dipendenti e costi per i beni strumentali, includendo oltre alle persone fisiche anche le società di persone e di capitali. L’estensione del regime forfetario avrà naturalmente un costo per lo Stato”.

E dunque, “con riferimento alla proposta di legge che puntava a due aliquote (15 e 20% rispettivamente fino a 65mila e 100mila euro) e limitando le analisi alle sole persone fisiche,  le simulazioni Prometeia indicavano una riduzione del gettito fiscale di circa due miliardi di euro”. Per questo l’istituto di ricerca si è accodato alle principali agenzie mondiali, tagliando le stime di crescita 2018 per il nostro Paese all’1% (da +1,2% previsto a luglio) e per il 2019 allo 0,9% (da +1,2%).

Due considerazioni. Primo, se il Def non ha una vocazione espansiva e il prossimo anno per l’Italia è attesa una crescita al più dell’1,1%, quando si avrà un’effettiva ripartenza del Pil. Ricordiamocelo, se il Pil non cresce il debito non scende (e se lo spread sale troppo sarà pure difficile collocarlo), visto che cure alternative per tagliarlo non ce ne sono all’orizzonte. E allora? Si rimane inchiodati al palo? Secondo. Se davvero con la flat tax lo Stato finirà per incassare meno denari, il governo come penserà di fronteggiare la sua spesa se peraltro per piazzare i Btp serve pagare cedole più ricche a chi li compra? Ma allora ne è valsa la pena sforare il deficit?

 

fiscal compact

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