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A stupire è lo stupore: Borghi è Borghi e Salvini non sa far altro se non Salvini. Poi, certo, lo spartito che il segretario della Lega suona può cambiare a seconda della convenienza del momento. E non c’è da stupirsi che un leader capace di passare d’un balzo e senza spiegazioni dal secessionismo al nazionalismo abbia riposto nel cassetto più basso del proprio armadio politico le magliette no-euro così come abbia rinunciato agli aggettivi sprezzanti nei confronti della Festa della Repubblica in quanto tale.

L’uomo è fatto così: camaleontico non meno del suo ex partner di governo Giuseppe Conte. Ma per quanto il messaggio salviniano possa mutare, certo è che a rimanere immutata sarà la sua caratura surrealista, aggressiva e sostanzialmente demagogica. Caratura a cui Salvini è il primo a non credere.

Le cose, almeno formalmente, cambiano. Ed è a questo proposito interessante notare come, oggi, a difendere il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella dagli strali di Matteo Salvini e dalla richiesta di dimissioni del pirotecnico Claudio Borghi sia la leader di quel partito, Fratelli d’Italia, che all’inizio della scorsa legislatura assieme al Movimento 5 Stelle ne chiedeva la messa in stato d’accusa per alto tradimento.

Qualcosa cambia, dunque. Cambiano i toni e cambiano le modalità politiche. A non cambiare, per quanto riguarda Matteo Salvini, è la tendenza ad adagiarsi su una retorica sostanzialmente anti europeista nella convinzione che l’elettore medio della Lega possa, ancora, prendere per buone le promesse sovraniste.

Inutile, dunque, entrare nel merito della querelle tra la coppia Borghi-Salvini e il Quirinale. Inutile ricordare ai due cavalieri dell’apocalisse che l’esistenza di una “sovranità europea” è stata sancita dalla Corte di giustizia Ue che ha più volte confermato la supremazia del diritto europeo su quello nazionale così come previsto dai trattati comunitari, a loro volta coerenti con l’articolo 11 della nostra Costituzione. Inutile ricordargli che le leggi di bilancio redatte dai governi vengono valutate dalla Commissione europea ancor prima di giungere all’attenzione dei parlamenti nazionali.

Sono cose che Matteo Salvini sa bene. Ma il fatto di conoscere la realtà non gli impedisce di abbandonarsi alla finzione abbaiando rabbiosamente alla luna nella speranza di ottenere il voto dello zoccolo duro di un elettorato che lo ha in gran parte, e da tempo, abbandonato.

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Per quanto il messaggio salviniano possa mutare, certo è che a rimanere immutata sarà la sua caratura surrealista, aggressiva e sostanzialmente demagogica. Caratura a cui Salvini è il primo a non credere. L’opinione di Andrea Cangini

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