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“Le dimissioni di Matteo Renzi non erano un atto dovuto; mi fanno un po’ pensare coloro che le hanno vissute come una vittoria, la sconfitta è stata collettiva. Io penso che senza Renzi il Pd in questa fase storica non avrebbe una parte fondamentale della sua anima”.

Il sottosegretario Gennaro Migliore, che incontriamo nel suo ufficio a via Arenula, è molto combattivo. Ovviamente preoccupato per lo stato di salute del Pd soprattutto al sud, ma orgoglioso del lavoro svolto dai governi di centrosinistra. Ma su una cosa non ha dubbi: non ci sono margini per un governo con il M5S.

Allora Gennaro Migliore, è arrivato il momento di aprire un dialogo con il M5S o continuerete con il vostro “Tocca a loro”?

Ho apprezzato l’abilità dialettica di Luigi Di Maio che ha ribaltato completamente il carattere della sua comunicazione precedente, senza avere cambiato neanche di una virgola i suoi contenuti. E lui il più congelato di tutti. Sostiene che o fa il premier o non se ne fa nulla. Se fa l’accordo con la Lega magari propone di mandare via qualche migrante, se lo fa con noi accetta di estendere il reddito di inclusione. Mi sembra ci sia molta ambiguità. Si tratta di un proposta che non può essere giudicato secondo le categorie del passato come fa Franceschini, va valutato cosa è il M5S e se abbiamo la possibilità di interloquire prima che siano concluse le consultazioni. Ricordo a tutti che Bersani il famoso incontro dello streaming con il M5S lo fece dopo che ottenne l’incarico esplorativo. Qui Di Maio pensa di fare le consultazioni in proprio. Per me anche il metodo è inaccettabile. Se poi il tono diventa più civile non posso che apprezzarlo, sperando che non sia una solo giravolta tattica.

Vi dividono troppe cosa dal M5S?

Ci divide il populismo autoritario che loro propongono, quello per cui ti bastonano quando non sei d’accordo con loro e ti corteggiano quando hanno un interesse nei tuoi confronti. Mettono davanti il popolo, ma dietro c’è un uomo di azienda come Casaleggio che rivendica l’espulsione da una sua manifestazione di un giornalista come Iacoboni che ha fatto un gran lavoro sui pentastellati. Non abbiamo nessun problema a confrontarci con nessuno, ma qui c’è una totale ambiguità di una formazione politica che cerca in tutti i modi di raggiungere gli obiettivi di potere più che di programma.

Ma veniamo ai democratici. Perché il Pd è crollato al 18%? Mi dia tre motivi

Il primo motivo è sistemico. In questo momento in tutta Europa si stanno sgretolando le proposte di governo che hanno cercato di far fronte alla crisi. Noi abbiamo raggiunto dei risultati significativi, ma non siamo riuscite a mettere alla spalle la crisi, soprattutto nei confronti di quella generazione che ha vissuto pienamente questa crisi, penso ai giovani fino ai 40 anni.

Il secondo motivo è che noi abbiamo lavorato poco sul coinvolgimento emotivo e partecipativo del nostro elettorato rispetto alle riforme che facevamo. Ne abbiamo fatte tante, forse anche troppe; i soggetti coinvolti però spesso però venivano avvisati a cose fatte. Un riformismo calato dall’alto che aveva il pregio della velocità e il demerito di non essere mai compreso.

Un esempio?

Il reddito di inclusione, molti non sapevano fosse una nostra iniziativa. Molti pensano che sia frutto della campagna del Movimento Cinque Stelle. Quando gli dico che siamo stati noi a introdurre quella che viene chiamata la “carta Rei” mi guardano stupiti.

E il terzo motivo?

C’è un limite enorme del partito nell’essere un partito di massa. Questo è un partito molto attivo nel dibattito interno, molto meno presente nel radicamento sociale. L’organizzazione deve avere un carattere biunivoco. Devo essere in grado di raccogliere le istanze che arrivano dalla società, ma anche organizzarle. L’idea che l’organizzazione sia quella per formare un partito competitivo alle elezioni è un’idea giusta, ma non può essere che questo si trasformi in un’attività legata solo alla selezione degli eletti.

Ho visto molte riunioni di corrente, anche adesso vedo molte riunioni in cui ognuno dice il proprio orientamento sul futuro governo, ma non tante iniziative che vadano nei luoghi della sofferenza.

Il Pd rischia di sparire al Sud?

Sì. E il paradosso è che corre questo rischio avendo tutte le amministrazioni meridionali più importanti in mano. C’è un fenomeno che io chiamo irrilevanza dell’amministrazione nel momento in cui tu governi in tutto il sud e non trai nessun beneficio. Non si può dire nella stessa frase il “buon governo della lega al nord” ha dato tranquillità e sicurezza ai cittadini, mentre al sud conta solo il dato nazionale. Non siamo riusciti ad incidere minimamente.

Non erano buone amministrazioni allora?

No, è diverso. Sono state considerate irrilevanti. Come se fossero private di un’anima. Dall’altro lato l’amministrazione viene considerata come un dato burocratico. Si sceglie un buon amministratore, ma non è più politica per l’elettore. Questo è accaduto al sud.

Non sono stati trattenuti i voti. Là dove prendiamo il 60% alle comunali prendiamo il 7-8% alle politiche. È un dato incredibilmente negativo. C’è una scissione tra amministrazione e politica. Come è accaduto con il governo Gentiloni.

In che senso?

Quello di Gentiloni è stato un governo assai apprezzato, ma i ministri più apprezzati hanno straperso nei collegi uninominali, come è accaduto a Franceschini e Minniti. Vanno bene per fare i ministri, ma non sono vengono percepiti dagli elettori come riferimenti politici.

Il prossimo 21 aprile c’è l’Assemblea Nazionale. Si aspetta che si dia il via ad un congresso?

Per me il congresso dovrebbe essere il momento della ricostruzione della linea politica adeguatamente sostenuta da una leadership; io non credo alle leadership collettive.

Nel Pd però c’è chi ha dimostrato di non apprezzare le leadership forti…

Sento nel Pd una specie di nostalgia per le leadership ‘accaminettate’, dove conta un gruppo oligarchico nel quale si contano i rapporti di forza tra le correnti.

Martina però sembra essere un buon punto di equilibrio tra le varie anime del partito, per mantenere una tregua.

Noi non abbiamo bisogno di tregua. Noi abbiamo bisogno di muoverci, di riprenderci. Siamo stati fin troppo ostaggi di discussioni interne. Non invidierò mai altri partiti, ma siamo l’unico partito in cui la linea politica viene comunicata da più esponenti in più momenti. In altri partiti non succede. La linea politica è quella che va definita all’interno di un ragionamento che poi deve vedere un consenso più ampio possibile; una volta decisa una linea poi tutti devono starci dentro.

Il Pd però ha subìto una scissione proprio perché chi è andato via si lamentava che la linea non poteva essere discussa.

Io ancora non capisco perché Bersani e gli altri siano andati via. Per la contestazione di un calendario ufficialmente. I voti non andati a Leu vista come operazione di Palazzo, personalistica, che alla fine non avrebbe portato a nulla.

Tornando all’Assemblea si aspetta vengano dettati i tempi per il prossimo congresso

Il voto più corretto il 21 sarebbe non su una persona, ma su un progetto di lavoro. Quindi individuare le date di un congresso più efficace possibile.

In che tempi?

Il congresso ci deve dare una leadership forte e chiara per arrivare pronti alle elezioni europee.

Immagina un congresso all’antica o con le primarie?

Ovviamente penso ad congresso con le primarie, non possiamo arretrare sulla principale sfida del Pd. Io sono dell’idea che il partito democratico nasce sulle primarie. Sarebbe un passo indietro molto evidente.

Che giudizio esprime sull’operato di Martina? Può essere lui il reggente in questo periodo di transizione fino al congresso?

Martina svolge una funzione che io fino ad oggi ho apprezzato, soprattutto per alcuni suoi elementi di equilibrio; In questa fase deve essere un garante della linea che abbiamo deciso in direzione e lui lo sta facendo, questo non può essere negato.

C’è la possibilità che l’assemblea respinga le dimissioni di Renzi?

Io penso che senza Renzi il Pd in questa fase storica non avrebbe una parte fondamentale della sua anima. Per quanto mi riguarda il contributo che Renzi deciderà di dare sarà fondamentale per ogni cosa il Pd deciderà di fare. Ma voglio dire una cosa sulle dimissioni di Renzi.

Prego.

Le dimissioni del segretario non erano un atto dovuto. A me ha dato un po’ da pensare quelli che le hanno vissute come una vittoria. In realtà la sconfitta è stata collettiva. Invece, mi sembra ci siano dei toni all’interno del PD talmente veementi che sono tipici degli avversari e non degli interlocutori interni.

Cosa deve fare subito il Pd?

Quello che dobbiamo fare immediatamente è recuperare la nostra forza di partito nazionale. Il paese ha bisogno di una forza politica che respinga la frattura tra il Nord del centrodestra e il sud del Movimento 5 Stelle. Dobbiamo proporre una strategia nazionale per il paese. Un partito che sappia spiegare che servono dei sacrifici per uscire dalla crisi, un partito che abbia una chiara vocazione europeista, e che sia realmente democratico. Ci sono istanze che vanno raccolte. Abbiamo la necessità di recuperare la rottamazione, non solo per le persone, ma anche per il partito. Avere uno spirito giovane. Il sovranismo è vecchio, il populismo autoritario è marcio.

Il Pd rischia l’estinzione?

Tutti i partiti rischiano l’estinzione; ma non rischia nulla se si metterà in movimento. Per coniare un termine parlerei di un partito in movimento. In movimento verso la società.

di maio, Pd partito democratico

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