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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si è presentato a Washington con un “piano per la vittoria”, non di pace, fa notare l’ambasciatore russo Alexey Paramonov, in Italia dal 2023, intervistato da Marco Imarisio sul Corriere della Sera. L’articolo esce mentre i ministri degli Esteri dell’Ue si riuniscono a Lussemburgo per parlare anche del sostegno a Kyiv. E mentre i ministri europei adottano misure contro gli “attori della destabilizzazione russa” e discutono i modi per affrontare l’evasione delle sanzioni già attive, il diplomatico di Mosca dichiara al più importante quotidiano italiano che è “un peccato” aver “semplicemente ignorato” la proposta di pace avanzata da Vladimir Putin nel suo discorso al ministero degli Esteri il 14 giugno. Una proposta irricevibile per Kyiv, poiché implicava in qualche modo una sconfitta, e per chi lo ha sostenuto nel difendersi da una guerra che, secondo la narrazione russa riproposta da Paramonov, ha avuto ragioni legittime: la difesa armata dei cittadini russofili dell’est ucraino. Poco importa se certe istanze sono state fomentate in una sofisticata forma di rivolta anti-occidentale dieci anni fa, quando il piano di invasione di Mosca iniziò su scala più ridotta e ibrida, attirando una reazione più modesta dell’Occidente.

Nei giorni scorsi, Zelensky ha visitato diverse capitali europee, tra cui Roma (dove scetticismi sul sostegno si diffondono tra maggioranza e opposizione). L’obiettivo del tour diplomatico è stato pressare per mantenere una linea-vita che consenta di continuare a resistere. Sul tavolo europeo adesso c’è il finanziamento per le armi a Kyiv. Dai corridoi europei, fonti indicano che si sta discutendo una proposta promossa da Josep Borrell per un escamotage che aggiri l’opposizione dell’Ungheria — roccaforte anti-occidentale all’interno dell’Ue, ora alla guida del semestre europeo — al finanziamento dell’Ucraina attraverso il Fondo europeo per la pace. Borrell vorrebbe permettere ai singoli Paesi di contribuire volontariamente, utilizzando un trucco legale che escluderebbe Viktor Orban, pur consentendogli di promuovere la sua posizione. Sembra che ci sia sostegno per l’iniziativa, ma non una soluzione definitiva. Lo stesso vale per i piani dell’Ue, di Washington e del G7 per fornire un nuovo importante prestito a Kyiv. È una questione complessa che i ministri degli Esteri non possono risolvere e che probabilmente sarà trasferita ai leader quando si vedranno nei prossimi giorni per il Consiglio Europeo.

Zelensky è un leader in guerra. Vuole armi, sostegno e vittoria. L’idea che il presidente ucraino possa prendere in considerazione un congelamento del conflitto lungo l’attuale linea del fronte, in cambio di garanzie di sicurezza dall’Occidente, potrebbe sembrare accettabile a chi osserva la guerra da oltre due anni senza esserne direttamente coinvolto, ma — al di là della questione del coinvolgimento — presenta due ostacoli significativi. In primo luogo, è improbabile che le nazioni occidentali offrano all’Ucraina le garanzie di sicurezza solide che Kyiv cerca. Anche eventuali accordi simbolici sarebbero insufficienti, poiché la Russia potrebbe facilmente smascherare la loro debolezza mettendo alla prova la linea del fronte, dimostrando che tali garanzie sarebbero vuote. In secondo luogo, la Russia, che attualmente ha il vantaggio militare nel conflitto, avrebbe pochi incentivi ad accettare una tale proposta, anche se venisse avanzata — ed è qui che il gioco retorico di Paramanov è evidente, poiché quella che Putin chiama “pace” è in realtà il suo piano per la vittoria.

Questi ostacoli indicano che una fine negoziata della guerra resta improbabile nel prossimo futuro, indipendentemente dall’esito delle elezioni negli Stati Uniti — considerate un potenziale game changer per questo e molti altri dossier. Anche se va detto che la prospettiva di un qualche accordo potrebbe aumentare leggermente la quota di possibilità sotto una seconda presidenza di Donald Trump. Ma è ancora lontana l’ipotesi dall’essere probabile. Tuttavia, vanno analizzati tre fattori chiave potrebbero spingere Mosca a considerare la via per un’intesa sotto una nuova amministrazione Trump, sebbene nemmeno questi possano essere considerati una garanzia di successo.

La prima possibilità è che Putin possa accettare un cessate il fuoco come favore personale a Trump, con l’idea di riprendere le ostilità in un secondo momento, qualora fosse nei suoi interessi strategici, mantenendo al contempo un’apparenza di cooperazione con l’Occidente. Questo permetterebbe a Putin di mantenere l’iniziativa, presentando una facciata di disponibilità.

Il secondo fattore riguarda il potenziale di un accordo di pace di scatenare disordini politici interni in Ucraina. Un cessate il fuoco o un accordo di pace potrebbe creare divisioni a Kyiv, dove i meriti e i disonori di un tale accordo sarebbero fortemente contestati. In questo scenario, la Russia potrebbe raggiungere uno dei suoi obiettivi principali: destabilizzare l’Ucraina dall’interno, una strategia che potrebbe essere stata più centrale nelle sue ambizioni rispetto alla conquista territoriale.

Infine, c’è la possibilità che un’amministrazione Trump possa costringere la Russia a negoziare minacciando sanzioni economiche più dure, in particolare contro la banca centrale russa, come accennato dall’ex Consigliere per la Sicurezza Nazionale Robert O’Brien. Questa pressione, piuttosto che una percezione di favore verso il Cremlino, potrebbe essere cruciale per costringere Mosca (dove in questo caso la sineddoche serve a indicare anche il sistema di potere che sostiene Putin, ma pensa già a qualcosa oltre Putin) a fare concessioni, anche se l’efficacia di tali misure resta speculativa.

Nonostante queste considerazioni, le sfide per raggiungere un accordo di pace significativo sono formidabili e apparentemente insormontabili. Le garanzie di sicurezza occidentali dovrebbero essere sostanziali e credibili, una prospettiva improbabile date le attuali condizioni geopolitiche e le indecisioni sia in Europa che negli Stati Uniti. Inoltre, il calcolo strategico della Russia resta a suo favore, rendendo improbabili eventuali concessioni senza una significativa pressione esterna. Pertanto, il conflitto in Ucraina sembra destinato a continuare senza una via chiara.

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