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A marzo di quest’anno il Presidente del Brasile, Michel Temer, ha abbandonato il Palazzo Presidenziale – cacciato, a suo dire, dai fantasmi e dalle “energie negative”. Il palazzo – Palácio da Alvorada – è di 7mila mq. Dispone delle solite amenità presidenziali – piscina, cappella, cinema e eliporto  – ma non è la rovina monumentale che ci si aspetta da un capo di stato. La struttura – modernista – è stata costruita, insieme al resto della “nuova” capitale del Paese, Brasilia, dall’architetto Oscar Niemeyer nel 1958 come una sorta di omaggio all’allora brillante futuro del paese sudamericano.

Niemeyer, forse il primo “archistar” moderno, è responsabile, in Italia, per la sede della Mondadori a Segrate, che tra l’altro somiglia come una goccia d’acqua al Palazzo da Alvorada. Oscar non era uno da sprecare una buon’idea utilizzandola una sola volta. Temer però… Come ha messo piede nella residenza ufficiale, è come se gli fosse corso un brivido lungo la schiena. Già l’aveva “ereditata” da Dilma Rousseff, destituita per avere truccato il bilancio dello Stato. “Ho sentito qualcosa di strano lì”, ha detto Temer alla testata Veja, “Non riuscivo a dormire già dalla prima notte. L’energia non era buona. Marcela (la moglie, 33enne, lui di anni ne ha 76) sentiva la stessa cosa. Solo a Michelzinho (il figlio di sette anni) il palazzo è piaciuto, correva ovunque. Ci siamo chiesti se potessero esserci dei fantasmi”. La “First Lady” avrebbe perfino convocato un prete per cacciare gli spiriti maligni, senza un evidente risultato. La famiglia è tornata al più piccolo Palácio Juburo, la residenza del vice-presidente, il ruolo di Temer fino all’impeachment della Rousseff.

La storia potrebbe essere quella della stessa città di Brasilia, costruita per un “miracolo socialista” – come si usava allora -alla fine degli anni Cinquanta in soli 42 mesi nella più completa desolazione dell’interno brasiliano. Tale era il nulla attorno che l’urbanista Lúcio Costa, il responsabile del piano della nuova metropoli, si è rifiutato di fare un sopralluogo, per “non rovinare la purezza della sua visione”. Brasilia è per certi versi magnifica, ma nel suo polveroso insieme ha l’aria di un vastissimo terminale aeroportuale con qualche problema di manutenzione. Le strade sono perlopiù poco trafficate e i palazzi sparsi in mezzo alla solitudine di vasti prati vuoti. Sembrano ancora appartenere più al futuro che al presente.

Un’archistar attuale, l’irachena-britannica Zaha Hadid, parla di “tutte quelle strade larghe, fatte per far arrivare i soldati”. L’idea di poter tenere lontane le masse riottose di Rio e di San Paolo probabilmente non era del tutto estranea alla scelta di portare via la capitale dalle popolose coste. Per quanto i singoli pezzi di architettura siano notevoli, alleggia in ogni angolo il fantasma del socialismo “latino” andato a male. Gli alloggi che una volta dovevano essere dei ricchi e dei poveri oggi sono “dei ricchi e dei ricchi” e i “pocotenenti” sono confinati nelle favelas che attorniano la città. Sono ammessi per le pulizie e per servire a tavola. Chi può, fugge ogni weekend alle metropoli della costa per una botta di vita, sfruttando il biglietto di ritorno che fa parte del contratto di lavoro. Per Michel Temer però neanche la fuga a Palazzo Juburo ha portato fortuna. Secondo i suoi portavoce, è afflitto da gravi problemi “urologici” e ha da poco superato – di un margine non ampio – anche lui una causa di impeachment, per corruzione. Dice: “Vivo il peggior momento di tutta la mia carriera”.

I fantasmi che assillano Temer in Brasile

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