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Il percorso storico dell’Europa sta attraversando una fase cruciale, nella quale non soltanto la sopravvivenza dell’Unione ma anche il mantenimento dell’ordine internazionale sono la vera posta in gioco. La notizia che i capi di Stato e di governo riconoscono adesso “la necessità di aiutare l’Italia” sul versante delle politiche dei migranti, dando al nostro Paese “un forte sostegno per il lavoro con le autorità libiche”, costituisce certamente un passo in avanti importante, il quale conferma la buona direzione che ormai da mesi sta spingendo tutti i governi verso una maggiore consapevolezza pratica degli obiettivi di solidarietà condivisa da perseguire ad ogni livello per garantire pace e sicurezza collettiva.

La gestione unitaria della questione migratoria decide, infatti, sul destino unitario stesso dell’Unione Europea: se riuscirà, l’Europa sopravvivrà; altrimenti i populismi saranno l’ultima parola di commiato del sogno di De Gasperi e Schumann.

Facendo eco alle parole del presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani ha esortato giustamente gli Stati membri ad accelerare i tempi di realizzazione dello sforzo comune, in ragione anche del fatto che i nodi centrali della riforma del regolamento di Dublino non abbiano ancora trovato una convergenza piena e completa.

Sembra vi sia, in altri termini, una maggiore comprensione generale che l’egoismo di alcuni Stati, che scaricano su altri gli oneri degli asili, sia una linea totalmente sbagliata, costituendo la principale ragione dell’avanzata dell’euroscetticismo e dei nazionalismi radicali, senza che però si esca autenticamente dalle sabbie mobili dell’immobilismo.

Finché, difatti, si continua a ragionare con la logica blindata dei trattati, soprattutto con la mentalità contrattualistica burocratizzata del bilanciamento di interessi nazionali in contraddizione tra loro, non si riesce a sciogliere il vero nodo gordiano dell’Europa, e quindi neanche ad immaginare come e in quale direzione promuovere un rilancio sostanziale dell’interesse continentale.

Il cuore del problema è costituito, alla fin fine, dal reale significato da attribuire alla politica comune, e dal concetto stesso di “governo dell’Unione” che deve essere rapidamente riformato e calato nella realtà dei problemi vissuti dalla gente.

La linea che Bruxelles ha preso in questi anni può essere definita come una sorta di fallimentare “platonismo politico”. Tale definizione esprime l’esaltazione dogmatica del nesso tra centralismo monetario, legalismo dirigistico e totale distacco dalla politica dei popoli che compongono l’Unione. Sebbene, infatti, la Gran Bretagna stia moderando oramai la Brexit, non vi è altra ragione che giustifichi questa ed altre opzioni secessioniste che si verificano di continuo ovunque, non solo in Catalogna, trovando consenso e suffragi crescenti di popolarità.

Fin quando, in definitiva, non sarà autenticamente democratizzata e spostata in un orizzonte comune la politica estera, la politica di difesa e la solidarietà verso i migranti, non sarà possibile per l’Unione recuperare credibilità, diventando supporto degli Stati nazionali e recuperando l’agognata attendibilità democratica.

Quello che emerge come dato è che le politiche antieuropee sono una reazione istintiva ad una estraneità trascendente della gestione europea dal ruolo e dai compiti positivi di aiuto agli Stati che dovrebbe assolvere invece un governo di questo tipo per essere pienamente se stesso e utile per la gente comune.

Dagli ultimi e recenti passaggi elettorali in Francia, Germania e Austria emerge lampante quanto il destino di sicurezza e benessere di tutti i cittadini europei dipenda esattamente dalla riuscita di questo programma di de-platonizzazione dell’Unione, vale a dire dal modo efficace in cui sarà superato finalmente il dualismo che stacca l’Europa politica dalla realtà dei popoli e delle situazioni vissute nelle singole e diverse comunità territoriali.

Come un genitore, d’altronde, non può avere autorevolezza sui figli essendo sempre assente e volendo poi comandare dispoticamente, così l’Unione Europea non può pensare di avere prestigio se non si dedica effettivamente a indirizzare i singoli Stati verso un vero e reale bene comune dei suoi cittadini.

Questo è il senso autentico delle parole che Papa Francesco continua a dedicare alle tematiche dell’accoglienza e della solidarietà. Essere misericordiosi significa essere efficaci e concreti; vuol dire cioè che tutti devono farsi carico dei problemi di tutti, evitando di far finire il potere centrale in un mondo di idee platoniche, sganciate dalla realtà e dai bisogni delle persone, a cui viene una voglia insaziabile di applicare con crudo cinismo il rasoio di Ockham.

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