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È ufficiale: l’Unione Europea darà seguito all’accordo sui migranti con la Turchia di Erdogan, stanziando altri tre miliardi di euro per Ankara per i prossimi due anni. Ad annunciarlo in una conferenza stampa a Bruxelles è stato ieri il commissario europeo per la migrazione Dimitris Avramopoulos. I rubinetti ad Est rimarranno chiusi, dunque: una sconfitta per gli attivisti delle decine di organizzazioni umanitarie (Amnesty, ad esempio) che denunciano lo stato in cui i migranti e rifugiati sono trattenuti in Turchia. Un sospiro di sollievo per i Paesi del blocco di Visegrad, nel mirino della rotta balcanica, che da mesi fanno muro con Bruxelles per chiudere le porte ai flussi migratori. L’Europa può davvero cantare vittoria? Non ancora secondo Nikolaos Zahariadis, professore emerito “Mertie Buckman” di Relazioni Internazionali presso il Rhodes College, prestigioso e antico ateneo statunitense. Intervistato da Formiche.net a margine del dibattito al Centro Studi Americani “Is Migrant Despair Europe’s Only Hope?”, dove ha conversato con il giornalista Marco Ventura, il professore rivela tutti i suoi dubbi sull’accordo con Erdogan, il sistema di Dublino, la missione italiana in Niger.

A distanza di tre anni dalla sigla l’accordo fra Erdogan e Bruxelles ha dato i suoi frutti?

Probabilmente è stato un accordo necessario, perché l’Unione Europea si è mostrata incapace di fare da sola i conti con questa crisi. Il fatto stesso che abbiano deciso di stanziare nuovi fondi dimostra che Bruxelles è convinta che il patto con Erdogan sia stato un successo, e di fatto così è stato. Ovviamente tutto ha un prezzo: l’ “effetto collaterale” è stata la morte di molte più persone, perché i migranti, invece che arrestare il loro viaggio, hanno cercato di entrare in Europa attraverso rotte molto più pericolose.

Quali saranno gli effetti nel breve periodo?

Ci darà un po’ di sollievo dalla pressione migratoria nel breve termine ma nel lungo periodo ci sarà presentato un conto salato. Certamente il patto con Erdogan dà ad Ankara un potere negoziale che non ha mai avuto in passato, anche se la membership dell’Unione Europea rimane ancora molto lontana, perché manca del tutto la volontà politica per attuarla.

Nei prossimi mesi la riforma del sistema di Dublino approvata dal Parlamento di Strasburgo a novembre sarà sottoposta al vaglio del Consiglio Europeo. Si aspetta modifiche sostanziali al regolamento?

Non credo proprio, se fossi un Paese dell’Europa del Nord non vorrei cambiare questo sistema. Ci saranno delle piccole rifiniture, ma il contenuto del regolamento rimarrà lo stesso. Alcuni di questi Paesi nordeuropei potrebbero essere disposti a dare una mano agli Stati membri che si affacciano sul Mediterraneo sbloccando nuovi fondi. Altri Paesi, penso soprattutto al gruppo di Visegrad, non hanno invece alcuna intenzione di accettare modifiche dello status quo e probabilmente tireranno il freno.

Si porrà dunque il problema di come sanzionare in modo efficace chi non rispetta le regole. È questo il momento giusto per dare vita a un’Europa “a più velocità”?

Probabilmente è più realistico pensare a un’Europa a geometrie variabili che a più velocità, perché è un compromesso più facile da raggiungere politicamente. Sicuramente, da un punto di vista morale, è il momento che l’Europa chiarisca quali sono le conseguenze di chi non rispetta le regole. Non credo però che sarà questo il caso, perché nessun Paese, neanche il più diligente, vuole mettere in piedi un sistema in cui uno Stato membro può essere severamente sanzionato non appena violi le norme.

Quali sono i punti deboli del sistema di Dublino?

Ce n’è più di uno. La responsabilità dell’accoglienza è eccessivamente sbilanciata a danno degli Stati del Sud. Non mi sorprende che i Paesi nordeuropei abbiano apposto la loro firma: devono solo fare qualche controllo, e in cambio ricevono un bel po’ di finanziamenti. Inoltre i punti di accesso sono pochi, quasi tutti dei Paesi affacciati sul Mediterraneo e, ricordiamolo, anche degli Stati nell’Est Europa. È un sistema inefficace: non puoi riallocare migliaia di persone in uno Stato come la Bulgaria e costringerle a rimanerci, in un modo o nell’altro attraverseranno il confine per dirigersi a Nord. L’unica soluzione di lungo periodo per riparare le falle di Dublino III è puntare sullo sviluppo economico del Sud Europa.

All’indomani delle elezioni, in Italia il volto del nuovo governo rimane un’incognita. Questo renderà Roma più debole nei negoziati a Bruxelles?

Sembrerà paradossale, ma è probabile che un governo di coalizione, relativamente debole, renda l’Italia più forte in sede di negoziazione. Il negoziatore sarà infatti costretto a chiedere a Bruxelles una concessione che possa essere accettata da un Parlamento frammentato, e terrà la barra dritta.

La missione in Niger annunciata dal governo italiano può dare una spallata definitiva al traffico di migranti?

È una buona soluzione cercare di risolvere il problema alla sua radice, è una pessima soluzione inviare lì l’esercito. Significa affermare che questo problema si può risolvere con i militari e una risposta coattiva. Alla base del dramma dei migranti c’è un problema essenzialmente economico: le persone disperate, affamate e oppresse partiranno e attraverseranno monti, mari e fiumi a prescindere dalla presenza di un contingente militare, e in tanti continueranno a morire.

Erdogan

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È ufficiale: l'Unione Europea darà seguito all'accordo sui migranti con la Turchia di Erdogan, stanziando altri tre miliardi di euro per Ankara per i prossimi due anni. Ad annunciarlo in una conferenza stampa a Bruxelles è stato ieri il commissario europeo per la migrazione Dimitris Avramopoulos. I rubinetti ad Est rimarranno chiusi, dunque: una sconfitta per gli attivisti delle decine…

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