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In un clima politico pieno di incertezze, tra Austria, Medio Oriente, nuovi equilibri franco-tedeschi, i capi di stato e di governo si riuniscono per il Consiglio europeo giovedì 19 e venerdì 20 ottobre  a Bruxelles. Il voto austriaco ha rafforzato le politiche centrifughe del gruppo di Visegrad, anti immigrati e contro lo stato di diritto, in particolare presenti in Polonia e Ungheria, se non in Slovacchia e Repubblica Ceca. La crisi catalana ha posto il problema delle crisi interne. L’Iran resta un dossier di frizione con gli Stati Uniti, in uno scenario in movimento, dalla Turchia allo Yemen.

L’ordine del giorno del Consiglio europeo ricalca queste crisi.

Sulle politiche di immigrazione – su cui la nuova Austria e i paesi di Visegrad sono francamente ostili – si farà un’analisi dei flussi, l’elenco di misure addizionali a sostegno dei Paesi di approdo, di partenza e di transito, oltre che un appello alla revisione del sistema comune di asilo. Sarà qualche passetto in avanti dove possibile, con posizioni sempre difficili da mediare, e con relative ricadute nei media.

Sulla Brexit, il negoziatore europeo Michel Barnier (nella foto), in conferenza stampa il 17 ottobre, era sconfortato: si fanno pochi progressi, bisogna ancora trovare un linguaggio comune e una capacità di lettura dei rispettivi documenti. Le parole sul far presto del primo ministro britannico Theresa May e del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker sono cadute nel vuoto, l’opinione pubblica nel Regno Unito incolpa paradossalmente l’Unione europea di ritardo, dopo il tempo che si è presa una Londra incerta e ondivaga. Le difficoltà sono evidenti: per esempio sui soldi, oppure sui movimenti delle persone e dunque sulla frontiera con l’Irlanda, che si considera una potenziale crisi interna. Un dialogo difficile, il cui bandolo andrà ripreso in riunione a 27.

Andrà probabilmente meglio sulla difesa comune, dopo il progresso del Consiglio europeo del 22 giugno, quando si sono superati molti tabù in materia. Uno di questi è la nascita, tra primavera e estate, del quartier generale militare a Bruxelles – o Comando militare unificato – in forma lillipuziana e limitato alle missioni militari non esecutive (al momento tre: Mali, Centrafrica e Somalia). La cooperazione strutturata permanente (PESCO) dovrebbe essere decisa entro fine anno: originata dalla necessità di più Europa a seguito del referendum britannico, è stata progressivamente rafforzata dal coordinamento con la Nato, dall’idea di fare una “Schengen militare”, dalla necessità di auto organizzarsi, viste le minacce a est, a sud e qualche traballamento statunitense. Per fare questa CED rediviva, si userebbe lo strumento della cooperazione rafforzata, con una dozzina di Paesi, e anche con il sostegno britannico.

Si parlerà anche d’altro: di Turchia – che sarà un po’ il modo di parlare di Siria, di Russia e del quadrante medio-orientale – ma anche di Europa digitale, a seguito del summit di Tallin del 29 settembre. I Consigli Affari generali e Affari esteri, che hanno preparato il Consiglio europeo, hanno completato anche altre analisi, tra cui quella della libertà di stampa e dello stato di diritto, proprio in tempi di preoccupata osservazione dell’instabilità (o dell’eccessiva stabilità) in Polonia e Ungheria.

Consiglio europeo, MICHEL BARNIER CAPO NEGOZIATORE BREXIT

Tutta l'agenda del prossimo Consiglio europeo

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