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Il direttore di The World Post, Nathan Gardels, scrive sul Washington Post (che da poco ha inglobato definitivamente il sito) un editoriale che mette a confronto l’incarico praticamente a vita che l’assemblea parlamentare cinese affida al presidente Xi Jinping, e la vittoria del Movimento Cinque Stelle alle elezioni italiane, sintetizzando il movimento della figura del “clown” Beppe Grillo. Da qui, un nudo racconto del lungo pezzo – quasi un saggio – “un po’ dadaista” (copyright Andrea Pira, giornalista di Milano Finanza, esperto di Cina), senza fine di commento o avallo.

“Il clown e l’imperatore segnano gli opposti polari di un radicale cambiamento politico che attanaglia il mondo oggi”, scrive Gardels, perché da una parte la vittoria del M5s in Italia – e il risultato altrettanto ottimo della Lega – hanno “riacceso l’insurrezione politica populista” (quella della Brexit e delle presidenziali americane, dice il direttore), sfruttando un set di “disaffezioni popolari”, senza dare un segnale chiaro di quale sarà il futuro di governo in uno dei paesi più importanti del mondo, il nostro; dall’altro, in Cina, la scelta di eliminare il vincolo di mandato a Xi è tutta nell’ottica della stabilizzazione di una successione già ordinata, ma che, trasformando il presidente in una specie di imperatore, impedirà in futuro le interruzioni nell’azione politica con cui Pechino sta cercando di costruirsi come principale riferimento globale secondo il piano trentennale su cui Xi ha plasmato il partito e s’è già impresso nella storia del Paese.

“La Cina non diventerà mai una democrazia né un membro onorario dell’Occidente” scrive Gardels riprendendo anche un altro pezzo pubblicato dal sito che dirige e firmato dal famoso politologo Francis Fukuyama, in cui vengono sviscerati i risvolti preoccupanti per la deriva anti-democratica – quanto quasi inevitabile – del potere cinese: “L’unico contributo rilevante che l’Occidente può fare per influenzare il corso della Cina in futuro sarebbe dimostrare attraverso le nostre innovazioni istituzionali che le politiche inclusive e un consenso governativo efficace possono essere raggiunti con mezzi diversi da quelli autoritari”.

Il tema è enorme, perché riguarda una generale revisione che i pensatoi occidentali stanno apportando al dossier-Cina, ma è inevitabile associare il passaggio citato alle elezioni italiane (“L’ultimo sintomo del decadimento contemporaneo e della disfunzione della democrazia occidentale”), che dimostrano che c’è ancora molto da fare sulla capacità di dimostrare quanto poco sopra virgolettato.

Gardels trascrive anche un contributo inviatogli dall’ex primo ministro italiano Mario Monti, che pone la solida vittoria del populismo ai piedi della corruzione, dell’incompetenza e della debolezza dell’establishment politico: “Un malcontento ampiamente giustificato, specialmente nel sud, è scoppiato in un inaspettato sconvolgimento politico”, scrive Monti, ricordando che “l’economia italiana è migliorata solo molto modestamente e lentamente dopo la crisi finanziaria del 2011-2012, quando le priorità generali dovevano prevenire il default dello stato ed evitare di finire come la Grecia”, che sottolinea che quello di domenica 4 marzo è stato anche un risultato non intenzionale di “un atteggiamento subdolo” nei confronti dell’Unione Europea (“Berlusconi e Renzi hanno spianato la strada per Salvini e il Movimento Cinque Stelle di Luigi Di Maio, instillando per anni nella mente degli italiani il riflesso anti-Ue”).

Il direttore del sito nato da una partnership tra il Washington Post e il Berggruen Institute chiude ricordando che adesso “l’Italia, e per estensione l’Europa (dal momento che l’Italia è un membro chiave dell’Ue), si unirà agli inglesi e agli americani in un periodo prolungato di caos politico e instabilità. Nel frattempo, la Cina avanza, e il suo slancio è alimentato dal vuoto sempre più profondo della leadership globale” (e “quando il populismo esaurirà inevitabilmente il suo corso, la migliore speranza è per una politica volta a rinnovare le istituzioni decadenti della democrazia in modo che le società aperte possano ancora una volta offrire una valida alternativa all’autocrazia”).

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