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Alla fine Google ha ceduto alla Commissione Europea: dopo aver subito una multa da 2,42 miliardi di euro, il colosso del web ha accettato di modificare il proprio servizio di Shopping online. Google Shopping era finito sotto accusa lo scorso giugno quando, dopo un’indagine durata anni, la Commissione Europea aveva lanciato un ultimatum a Mountain View: cambiare entro il 28 settembre o pagare, per ogni giorno di sforamento, un’ulteriore sanzione pari al 5% di fatturato. Circa 10 milioni di euro.
La soluzione studiata in Silicon Valley prevede lo scorporo di Google Shopping che, almeno in teoria, andrà ad agire sul mercato in concorrenza paritaria con i competitor. Non è detto, però, che questo soddisfi Bruxelles e la stessa concorrenza, quindi non si escludono ulteriori strascichi.

I MOTIVI DELLA SANZIONE

L’accusa, per Alphabet (la holding di Google), era abuso di posizione dominante. Cosa faceva (e fa ancora) Google shopping? Forniva un servizio di comparazione prezzi. Semplicemente, agli utenti che cercavano un oggetto sul motore di ricerca, per esempio “frigorifero”, in cima alla prima pagina dei risultati mostrava una serie di prodotti di varie marche e il link per acquistarli online.
Il problema è che esistono altre aziende e siti di comparazione prezzi, che con la nascita e lo sviluppo di Google Shopping si sono trovate a competere con Google, che sfruttava la propria condizione dominante di “titolare” del motore di ricerca. Insomma, si sono trovate a lottare in una battaglia impari e nel 2010 si sono rivolte alla Commissione Europea. Bruxelles ha avviato un’indagine per poi concludere che i competitor di Google avevano ragione, e così a giugno è arrivata la stangata.

LA SOLUZIONE DI MOUNTAIN VIEW

Inizialmente Google ha protestato, valutando un ricorso e sostenendo che il calo del traffico sui siti di comparazione prezzi era dovuto non ai suoi abusi ma allo sviluppo di siti di e-commerce come Amazon e Ebay che, peraltro, dalla sanzione si sarebbero avvantaggiati. Comunque il confronto con la Commissione è proseguito e la soluzione è stata trovata e resa pubblica in questi giorni.
Google metterà all’asta i primi 10 spazi in cima alla pagina dei risultati del motore di ricerca, che riporteranno in calce i nomi del sito di comparazione prezzi, per esempio “da Kelkoo.com”, o “da Shopzilla.inc”). Alle aste potrà partecipare anche Google Shopping, che verrà scorporata da Google stessa, come capita per Youtube. Riporta Bloomberg, il primo a dare la notizia della soluzione elaborata, che Google non potrà sovvenzionare il proprio servizio Shopping, che dunque dovrà operare separatamente rispetto alla società madre e di fatto agire alla pari dei competitor.
Tuttavia, la modifica degli assetti societari riguarderà soltanto l’Unione Europea. In altre parole, almeno per ora, nel resto del mondo il sistema considerato svantaggioso per la libera concorrenza proseguirà, anche se non è escluso che altri stati, dopo la presa di posizione di Bruxelles, impongano a Mountain View, nella loro giurisdizione, misure analoghe. Peter Willis, avvocato esperto di concorrenza dello studio Bird&Bird di Londra, ha dichiarato che “BigG” ha buone possibilità di vedersi approvato dall’Ue il sistema di aste, anche se prima “bisogna assicurarsi che non porti vantaggi occulti al business di Google”

LE CONTESTAZIONI

La soluzione soddisfa tutti? Non proprio. Richard Stables, ceo di Kelkoo (una società di comparazione prezzi) ha detto a Bloomberg che la soluzione proposta è “peggio del tentativo che nel 2013 Google fece per sistemare il caso. Chiunque creda che un’offerta del genere risolva i problemi del shopping-search non capisce come funziona il mercato”. Della stessa idea Foundem, un sito inglese di shopping, che rincara la dose: non solo la novità non eliminerebbe i problemi di concorrenza, ma permetterebbe a BigG di avvantaggiarsi facendo pagare le aziende concorrenti per posizionarsi.
Dal canto suo, l’Unione non considera chiusa la partita. Il commissario alla concorrenza Margrethe Vestager, la scorsa settimana, ha assicurato che la Commissione continuerà il monitoraggio e avvierà un’altra indagine “se l’offerta di Google non dovesse funzionare” o se i competitor dovessero continuare a segnalare problemi”.
Lo shopping online non è l’unico fronte di scontro fra Mountain View e Bruxelles. Anche le imposizioni sulle società di telefonia che utilizzano il sistema operativo Android di installare determinate applicazioni sono finite in passato nel mirino della Commissione. E non è detto che non lo siano anche in futuro, considerato che Bruxelles ha già avviato delle procedure, il cui esito è atteso per la fine del 2017.

Ecco che cosa farà Google per accontentare Bruxelles

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