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È già clima pre-elettorale e Silvio Berlusconi, in attesa del 22 novembre, giorno del pronunciamento della Corte europea dei diritti umani sul ricorso in merito alla decadenza da senatore votata nel novembre 2013 e successiva alla condanna definitiva per frode fiscale, torna a occuparsi del principale asset del suo impero, Mediaset. Società che da più di un anno è al centro di una contesa legale con Vivendi (azionista al 28,8%) per la mancata esecuzione del contratto d’acquisto della pay tv Premium e che dopo la causa legale da 3 miliardi di danni ora ha messo in campo i legali per cercare di trovare un eventuale accordo con la controparte francese.

“Mediaset resterà non solo italiana, ma sempre della mia famiglia”, ha dichiarato mercoledì l’ex premier rispondendo a una domanda di Bruno Vespa nell’ultimo libro del giornalista in uscita in questi giorni. Ma il vero passaggio chiave del Berlusconi-pensiero è un altro e fa riferimento all’asse, poi rotto, con il gruppo che fa riferimento a Vincent Bolloré. “Sarebbe convenuto a entrambi i gruppi lavorare insieme, perché il progetto di un grande polo televisivo europeo aveva e continua ad avere una sua logica industriale assolutamente valida”. Una dichiarazione che quindi lascia aperte le porte a una nuova intesa o alleanza con i francesi.

Un percorso, però, tutto in salita, visto che poi il primo azionista di Fininvest è tornato a rincarare la dose nei confronti dello stesso finanziere bretone: “Sono sconcertato dal comportamento di Bolloré. L’ho sempre considerato un imprenditore serio, con il quale pensavo fosse possibile una collaborazione in un mercato, come quello della comunicazione televisiva, nel quale si ragiona in termini di grandi player capaci di operare internazionalmente”. E se i due azionisti non si parlano, e come sempre neppure i manager, a farlo da mesi sono gli avvocati delle due società. Ma a un accordo-bis ancora non si è arrivati.

Anche perché i Berlusconi e Mediaset hanno sempre avuto una posizione tranchant, almeno pubblicamente: vogliono il rispetto del contratto d’acquisto della pay tv Premium (“non possiamo e non vogliamo transigere”), valutata, nell’aprile 2016, 756 milioni. Cifra che Vivendi non vuole assolutamente riconoscere alla controparte. Anche se più volte il braccio destro di Bolloré, Arnaud de Puyfontaine, tra l’altro presidente di Telecom, si è detto pronto a lavorare con Mediaset  per la creazione di un polo multimediale. Il progetto al momento, invece, vede coinvolte Tim  e Canal+, la tv a pagamento di Vivendi. Va altresì detto che i Berlusconi, nel caso di una marcia indietro, dovrebbero darne spiegazione al mercato e agli altri azionisti. A meno che il gruppo francese non riconosca una somma, che Mediobanca  stima in 700 milioni, a titolo di risarcimento danni.

Il vero nodo da sciogliere, però, resta la proprietà e il controllo, con relativo consolidamento di Premium. Perché, come ha ricordato Berlusconi nel libro di Vespa, “sono i canali generalisti i soli a fare grandissimi numeri”. Tanto più che “la moltiplicazione dei canali tv con offerte di film e di ogni genere di spettacoli dappertutto non rende più appetibile la televisione a pagamento, che si regge ormai soltanto sugli eventi sportivi”. Per questo il calcio è la killer application del settore e ora si attende con ansia la pubblicazione del bando per la vendita dei diritti 2018-2021 della Serie A.

Berlusconi, infine, si è detto favorevole anche al ricorso alla golden power del governo su Telecom per arginare il potere di Vivendi. Va detto, però, che il tempo stringe: l’eventuale accordo con Vivendi  e magari Telecom dovrebbe arrivare prima delle elezioni del prossimo aprile.

(articolo pubblicato sul quotidiano Mf/Milano Finanza diretto da Pierluigi Magnaschi)

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