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Il dibattito dello scorso luglio, avvenuto sulle pagine del Corriere della Sera, tra il presidente emerito della Consulta, Valerio Onida e l’editorialista Angelo Panebianco sulla flat tax al 25% proposta dall’Istituto Bruno Leoni ha avuto un secondo, pacifico, cordiale e intellettuale round il 26 ottobre nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università Bicocca di Milano. Presenti all’incontro, anche l’economista Nicola Rossi, estensore del nuovo modello fiscale, Serena Sileoni, vice direttore dell’Istituto, la professoressa di Economia pubblica Silvia Giannini dell’Università di Bologna, il docente di Diritto tributario Dario Stevanato dell’ateneo di Trieste, moderati dal padrone di casa, il docente in Diritto pubblico comparato, Claudio Martinelli.

LA NECESSITA’ DI IMPORRE PALETTI ALLO STATO

La premessa delle considerazioni sviluppate dai presenti è introdotta da Serena Sileoni secondo la quale “oltre a una certa soglia, il prelievo fiscale diventa illegittimo”. La vice direttrice dell’Istituto Bruno Leoni guidato da Alberto Mingardi fa notare che “mentre in Francia e in Germania il quantum oltre cui lo Stato non può spingersi è stato specificato dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, in Italia nessuno si è mai preoccupato di fissare l’asticella”. Le fa eco l’economista Nicola Rossi, curatore del modello che mira a riformare l’intero assetto: “Nel sistema attuale – sostiene il professore – la delega che i cittadini danno allo Stato è totale: quest’ultimo decide sia quanto tassare sia, bontà sua, se restituire qualcosa in cambio in termini di servizi”. Mentre, precisa più volte Rossi “la progressività c’è ma solo per i redditi medio – bassi”.

ONIDA: “SI RISCHIA L’OSPEDALE DEI POVERI COME NEL MEDIO EVO”

Fiero oppositore del futuribile assetto il giurista Valerio Onida il quale, dopo aver comunque ammesso di condividere gran parte delle analisi svolte in merito dall’Istituto Bruno Leoni (per esempio, sul fatto che molti redditi sfuggano all’Irpef e che il sistema attuale penalizzi gli incapienti), ribadisce di non potere far proprie “proposte che abbracciano la filosofia di vita secondo cui il fisco è inteso quale limitazione delle libertà del cittadino”. Venendo nel dettaglio, il presidente emerito della Corte Costituzionale evidenzia che il modello teorizzato da Rossi prevede uno “spostamento del carico fiscale dalle imposte dirette alle indirette, che colpiscono però tutti, indiscriminatamente, prescindendo dalla capacità contributiva del contribuente”. Il rischio, insomma, è un modello poco democratico e anticostituzionale. Ma i problemi maggiori sorgono sul fronte dei servizi: “il diritto alla salute – rileva Onida – non è negoziabile e nemmeno parametrabile al reddito. Si rischia l’ospedale dei poveri e quello per i ricchi come nel Medio Evo”.

PANEBIANCO: “LO STATO E’ UN MALE NECESSARIO”

“Non vedo lo Stato né come comunità di cui ciascuno debba essere per forza fiero, né come limite alle libertà dell’individuo: personalmente lo intendo più come un male necessario”. Esordisce con una battuta, che sarà senz’altro condivisa da molti, il politologo e saggista Angelo Panebianco. “Una eventuale coalizione politica che decidesse di fare propria la proposta dell’Istituto Bruno Leoni – continua – si assicurerebbe un consenso stabile al Nord ma dovrebbe anche vedersela con la feroce opposizione delle popolazioni del Sud”. “Personalmente – conclude – apprezzo il nuovo modello ma credo che nessuno avrà mai il coraggio, la forza e la volontà di attuarlo per davvero”.

I RILIEVI DEI TECNICI

Secondo la professoressa Silvia Giannini “la proposta presenta la ‘trappola della povertà’, ovvero (dato che prevede una soglia di oltre 7 mila euro pro capite annui sotto la quale non si è tassati ndR) potrebbe spingere il contribuente a non guadagnare un solo euro in più oltre quel limite”, soprattutto, sottolinea “alla luce del fatto che basta un guadagno di 5 volte superiore (di 2.500 euro mensili per il singolo, 8 mila per la coppia ndR) per essere costretti a pagare per intero le spese sanitarie”.
Più pragmatico l’avvocato Dario Stevanato, esperto di diritto tributario, che si interroga sulla reale possibilità di smantellare il sistema attuale: un insieme di leggi, leggine immenso, spesso contraddittorio e privo di logica, frutto di riforme e controriforme sedimentate nel corso del tempo.

L’ARGOMENTO CHE METTE TUTTI D’ACCORDO

Su un punto i presenti all’incontro organizzato dall’Università Bicocca sono d’accordo: il sistema attuale non funziona. “A prescindere da come la si pensi – dichiara Panebianco – è indubbio che l’attuale modello non funzioni. Anche a livello politico. Del resto, con tutti i problemi che abbiamo oggi e che riguardano i giovani e il loro ingresso nel mercato del lavoro, la discussione nei Palazzi si avvita sulle pensioni”. “Del resto – conclude -la nostra è una società che produce ingiustizia in nome della giustizia sociale”. “Che il sistema attuale non funzioni è testimoniato dal fatto – rileva Nicola Rossi – che in Italia abbiamo 5 milioni di poveri assoluti. Se la redistribuzione funzionasse non ci sarebbero. Inoltre molti ricchi non pagano i servizi e non perché evadono ma perché la legge paradossalmente glielo consente”. L’avvocato Stevanato parla persino di “schizofrenia” legislativa mentre la professoressa Giannini, pur ammettendo i tanti difetti, invita comunque a non farsi prendere dall’ansia di smantellare tutto: “Abbiamo appena introdotto il reddito di inserimento: proviamo a credere in quello e a finanziarlo, anche perché – fa notare – ogni volta che si rivoluziona qualcosa le amministrazioni sono costrette a spendere milioni di euro solo per adattarsi. Soldi che potremmo spendere in altro modo”.

 

Avanti tutta con la Flat Tax? Confronti e scontri fra Panebianco, Onida, Rossi, Sileoni e Stevanato

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