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Se si vuole un’immagine plastica di due modi di esercitare la Vigilanza bancaria – uno all’insegna del più miope rigorismo e concentrato su controlli che mirano esclusivamente ad acquietare i timori di responsabilità del controllore, l’altro organico e che considera l’intera gamma dei fattori in campo, dall’assetto istituzionale e normativo ai controlli alla necessità di aumentare il credito – ci si può riferire agli interventi di Ignazio Angeloni, membro del Supervisory Board della Vigilanza unica, e di Fabio Panetta, membro dello stesso Board e vicedirettore generale della Banca d’Italia, tenuti lunedì in occasione di un convegno alla Luiss.

Nel caso di Angeloni si dà atto della riduzione in Italia delle sofferenze bancarie lorde e nette (queste ultime dall’8 al 6%), ma subito dopo si ricorda che la media europea delle nette è il 3% e poi si apre il fronte degli istituti medio-piccoli, senza alcuna distinzione tra quelli insediati in Germania, Austria e Italia, da riguardare con grande attenzione per le tipologie di rischi che si annidano nel radicamento territoriale e perché sono caratterizzati da sovrapposizioni di incarichi suscettibili di provocare conflitti di interesse e irregolarità. Nessuna sottolineatura della ben differente condizione delle banche regionali tedesche rispetto alla realtà italiana. Ma soprattutto si è di fronte a un approccio che considera secondario affrontare il modo in cui servire meglio famiglie e imprese, come dare una funzione maggiormente propulsiva al settore, come rispondere appieno alla ragion d’essere di una banca: questi sarebbero invece i punti dai quali bisognerebbe partire per poi affrontare in coerenza tutti gli aspetti funzionali a questi obiettivi. Ma l’impianto della Vigilanza unica, di cui Angeloni è ultra-scrupoloso interprete, è quello dei vincoli, attraverso ratios, prescrizioni e la capitalizzazione continua purché si affermi un estremo «rigor» (che può diventare «mortis» per le banche) e si sia inattaccabili sul piano delle responsabilità personali.

Invece Panetta, che non ha mai avuto il problema di ingraziarsi le simpatie di alcuno ma che è determinato a svolgere il compito di leale civil servant, dopo avere rilevato che non bisogna fermarsi nello smaltimento dei crediti deteriorati e che l’azione deve proseguire con determinazione pari a quella finora condotta, sottolinea la non omogeneità delle norme tra le diverse giurisdizioni, che, unita alle differenze in materia contabile, rende il campo di gioco non livellato. Se si aggiunge il ruolo dello Stato nel settore, che è rilevante in alcuni Paesi (e in Italia no), ne deriva una grave differenza delle condizioni competitive. Per di più i rischi di mercato in alcuni Paesi non sono stati ancora adeguatamente scandagliati. Qui potremmo aggiungere: che dire dei titoli illiquidi e dei derivati su cui sono particolarmente esposte le banche tedesche? Poi Panetta, con riferimento agli aspetti normativi e di Vigilanza, ritiene che sia necessario evitare la prociclicità e che il fine da perseguire con le nuove regole debba essere sì quello di avere istituti più efficienti ma innanzitutto che aumenti il credito all’economia.

Ecco dunque i due tipi di controllo ed ecco la necessità che sempre più possa affermarsi una visione quale quella di Panetta, se si vuole dare un futuro molto meno discutibile all’operare della Vigilanza e si vuole il bene degli istituti. Una riforma dell’Unione e dell’Eurozona non può e non deve prescindere da un profondo riesame del funzionamento della Vigilanza accentrata, nei confronti della quale si estendono critiche e rilievi. Il fatto che sussistano idee e posizioni come quelle di Panetta sta a significare che una conversione dovrebbe ancora essere possibile, prima che si consolidino disposizioni, criteri e metodologie che stanno rivelandosi sempre più insostenibili.

(Articolo pubblicato su MF/Milano Finanza, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi)

Vi spiego le due visioni della Vigilanza bancaria europea

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