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Dopo il raid che la notte di venerdì ha lasciato quattro morti in acque internazionali del Mar dei Caraibi, il governo americano continua la lotta contro il regime di Nicolas Maduro e la rete di narcotraffico in Venezuela. L’operazione, che si inserisce in una più ampia strategia di escalation voluta dalla Casa Bianca per contrastare il flusso di droga verso gli Stati Uniti, come scritto da Formiche.net, è solo una delle strategie messe in atto dall’amministrazione di Donald Trump per smantellare il sistema di narco-stato della dittatura venezuelana. Ci sono altri fronti per combatterlo.

Il presidente Donald Trump ha informato che gli Stati Uniti sono in un conflitto armato contro i cartelli della droga. In un documento confidenziale, visionato dall’emittente americana Cbs, dal quotidiano The New York Times e dall’agenzia Reuters, tra altri, si può leggere che che Trump è determinato a combattere questo conflitto armato non internazionale contro queste organizzazioni definite come terroriste. Fino ad oggi, questa operazione ha lasciato 17 morti.
L’attacco di venerdì, dunque, fa parte di una strategia bellica contro il sistema di narcotraffico nella regione. “Il presidente ha ordinato al Dipartimento di Guerra di compiere le operazioni in conformità con la legge del conflitto armato”, si legge nel testo. Con questa definizione viene giustificata l’uso della forza contro i cartelli della droga, principalmente contro i trafficanti di cocaina e fentanyl. Trump ha anche dichiarato che il suo governo considera di poter attaccare i narcotrafficanti che arrivano via terrestre in Venezuela. Tuttavia, Trump non ha voluto confermare – né smentire – alcun piano per invadere militarmente il Paese sudamericano.
In questo modo le tensioni nella regione aumentano. Secondo Yolanda Villavicencio, ministra per gli Affari esteri della Colombia, la presenza militare degli Stati Uniti nel Mar dei Caraibi è sproporzionata e risponde a fattori politici, che costeranno milioni di dollari a Bogotà. In un’intervista con l’emittente britannica Bbc, Villavicencio ha sostenuto che dai Caraibi passa soltanto il 5% della cocaina che arriva negli Usa: “La maggior parte del narcotraffico attraversa il Pacifico e altre rotte […] Non esistono più accordi per la cooperazione militare con gli Stati Uniti in acque internazionali”. La ministra ha spiegato che il governo di Gustavo Petro porta avanti una politica per combattere il narcotraffico trasformando il territorio, passando di economie illegali a legali. Ma secondo l’ufficio contro la droga e il delitto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la produzione di cocaina ha avuto un aumento del 53% negli ultimi anni.
Per frenare questo flusso di droga, gli Stati Uniti vogliono sfruttare anche una vecchia accusa federale presentata a Manhattan, stato di New York, contro Maduro. L’imputazione, formulata a marzo del 2020, accusa il presidente socialista di cospirazione di narcoterrorismo e traffico di cocaina internazionale durante quasi tre decadi. Gli Stati Uniti offrono una taglia di circa 50 milioni di dollari per la sua cattura. Marco Rubio, segretario di Stato americano, ha citato più volte questa accusa del 2020 e definisce Maduro “un profugo della giustizia americana”, come si legge sul New York Times. Maduro è segnalato come leader dell’organizzazione di narcotraffico Cartel de los Soles, che secondo gli esperti è un sistema di patrocinio con cui militari e politici del Venezuela – e non solo – beneficiano del contrabbando di stupefacenti e altri affari illeciti. Il nome si ispira all’uniforme dei militari venezuelani di alto livello che hanno un sole come stigma. La priorità del Cartel de los Soles, secondo l’accusa, è “l’uso della cocaina come arma contro gli Stati Uniti”.
Intanto, il regime venezuelano si prepara per un eventuale conflitto bellico e ha annunciato nuove esercitazioni militari e un piano che pretende preparare ai civili per prendere le armi. In una trasmissione televisiva, il primo vicepresidente dell’Assemblea Nazionale (il Parlamento parallelo legato al governo di Maduro), Pedro Infante, ha annunciato giornate di allenamento per fortificare le capacità del Paese di fronte a una guerra o disastri naturali. Infante ha ricordato che la “chiave” della vittoria del Vietnam di fronte agli Usa è stata l’organizzazione sociale e la messa in ordine di tutte le capacità produttive nazionali. Sarebbero coinvolte 5.336 Unità Comunali Militari e 15.751 Basi Popolari di Difesa Integrale in tutto il Paese.
Per il governo socialista, l’operazione antidroga di Trump è solo un pretesto per spingere un cambiamento politico in Venezuela e la risposta di difesa sarà una fusione “popolare-militare”. Washington vuole un’aggressione armata per imporre un cambiamento di regime, imporre governi burattini e rubare petrolio, gas, oro e risorse naturali […] ma la lotta passerà da essere non armata a armata […] Il Venezuela non si lascerà umiliare davanti a nessun impero”.

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