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Forse a Giorgia Meloni conveniva appoggiare Ursula von der Leyen. Se non altro per sfruttare al meglio la momentanea, ma conclamata, difficoltà dell’asse franco-tedesco. Quel famoso direttorio che per decenni ha governato l’Europa. Così non è stato, ma, dice Nicola Rossi, economista e docente a Tor Vergata con un passato da parlamentare, poco male. La partita, versante politico, è semi-chiusa, ma ce ne è un’altra, semmai, che è tutta da giocare: quella del Pnrr. Perché da esso dipenderà la possibilità per l’Italia di mettere a terra manovre davvero incisive e non solo finanziarie votate al mero calcolo aritmetico.

In questi giorni al Tesoro si è aperto il cantiere della manovra. La strada è, come ogni anno, stretta. Ma facciamo due conti: una decina di miliardi andranno messi in conto per rientrare nei parametri del Patto di stabilità, un’altra decina per la procedura di infrazione sul deficit. In mezzo, il governo punta a 11 miliardi per il taglio del cuneo. La fantasia quest’anno dovrà essere ancora meno rispetto allo scorso anno, oppure no?

Che al Mef si cominci a lavorare sulla legge di Bilancio già durante l’estate non è una novità. E che questa legge di Bilancio, così come quelle dei prossimi anni, debba essere improntata alla prudenza e alla disciplina è altrettanto noto. L’elenco delle priorità anche questo è noto ed è un elenco composto da pochissime voci. Così come è conosciuto, infine, l’elenco anch’esso piuttosto breve delle possibili modalità di copertura. I margini sono molto stretti e questo non è solo il frutto di circostanze esterne.

E di che cos’altro?

C’è anche la conseguenza di una scelta che sembrerebbe essere imposta dalle diversificate opinioni interne alla maggioranza: riforme che incidano in misura significativa sulla struttura della spesa pubblica non sembrano essere oggi politicamente possibili. Senza quelle riforme, le leggi di Bilancio sono e saranno esercizi al margine. Destinate a non incidere, ammesso e non concesso che le politiche di bilancio possano farlo.

Piaccia o no, però, la manovra italiana dovrà, come da migliore tradizione, superare l’esame di Bruxelles. Ma c’è un dato: il governo italiano non ha sostenuto la ricandidatura di von der Leyen. Ora, è lecito chiedersi se i rapporti tra Roma e Bruxelles non ne escano un minimo più complicati, non crede?

La mia impressione, da profano, è che la maggioranza che ha rieletto von der Leyen sia più diversificata al suo interno di quanto oggi non appaia. Il che lascia supporre che non saranno poche le occasioni perché l’opposizione più dialogante possa giocare un ruolo anche significativo. Ciò detto, e sempre parlando da profano, far parte della maggioranza sia pure in maniera non organica avrebbe forse permesso all’Italia di sfruttare al meglio il momento di evidente indebolimento del tandem franco-tedesco. Cosa che mi sembra in questo momento meno facile da fare.

Ma sostenere von der Leyen avrebbe garantito un occhio di riguardo verso i nostri conti e la nostra manovra?

Ai fini delle politiche di bilancio rileverà certamente la composizione della Commissione ma non mi farei eccessive illusioni. La nuova governance europea ha, certamente, qualche margine di libertà ma la strada italiana è in larga misura tracciata e l’unica, vera, incertezza riguarda la capacità del Pnrr di tradursi in maggiori tassi di crescita del prodotto potenziale o meno.

Che cosa vuole dire?

Sarà questa la vera discriminante fra una politica di bilancio prudente e disciplinata ma praticabile ed una politica di bilancio all’insegna del rigore e dominata dalle emergenze di carattere finanziario.

Il 2024 è stato l’anno della riforma fiscale, definita spesso e volentieri dal viceministro Leo, suo architetto, come epocale e storica. Cosa ne pensa?

Di tentativi di riforma in campo fiscale ne abbiamo avuti parecchi negli ultimi decenni. Tutti non coronati da grande successo. Il solo fatto che la riforma riconducibile a questo governo sia in fase di realizzazione è di per sé un fatto molto significativo. E che andrebbe riconosciuto come tale. Reperire le risorse per realizzarla integralmente, andando oltre gli aspetti relativi al funzionamento del sistema, non sarà facile ma ritengo non sia impossibile.

Guardando alla Francia e alla sua ebollizione politica, c’è chi vede nell’incertezza transalpina il seme di nuove tensioni sui mercati, con riflessi anche sull’Italia…

La Francia è andata al voto quando nessuno se lo aspettava e ha chiaramente respinto le soluzioni proposte dalle estreme destre. Nel Parlamento uscito dalle recenti elezioni politiche non sarà facile trovare una maggioranza ma avrei difficoltà a scambiare per ebollizione questa difficoltà. Il tema mi sembra essere piuttosto quello dell’indebolimento delle leadership francese e tedesca, nonostante la scelta del presidente Macron sia stata un atto di leadership non comune.

Dunque?

Direi che è un indebolimento che l’Italia può subire anche sui mercati o che l’Italia può invece considerare come una occasione da cogliere al volo per chiarire in maniera inequivoca la propria natura di partner affidabile e dotato di una propria visione del futuro del Paese e dell’Europa.

Perché il Pnrr è la grande partita che l'Italia non può perdere. Parla Rossi

Dalla capacità del Pnrr di generare crescita dipenderà la possibilità di mettere a terra manovre incisive e meno votate alla semplice aritmetica. La riforma fiscale del governo è buona e ha una sua filosofia. Intervista al docente ed economista di Tor Vergata, Nicola Rossi

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