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C’è un gruppo di uomini armati libici che si fa chiamare “Brigata 48” che s’è riconvertito alla guerra contro il traffico di migranti dopo che l’Italia ha stretto un patto di cooperazione con il governo onusiano insediatosi a Tripoli per bloccare i flussi migratori.

IL CAMBIO DI INTERESSE(I)

Il ragionamento è d’interesse, spiega la Reuters che ha curato l’inchiesta giornalistica sulla brigata, perché adesso è più conveniente passare per pedine potabili e in qualche modo affidabili agli occhi del governo che Fayez Serraj sta costruendo, e anche a quelli di Roma. Prima conveniva più trafficare sui profughi, invece in questo momento l’Unione Europea sta valutando se l’intesa Italia-Serraj funziona, e semmai potrebbe essere disposta a metterci investimenti. Il piano – che consiste nell’assistenza ai miliziani tripolini che compongono la Guardia costiera libica leale a Serraj a cui è appaltato il compito dei respingimenti – è “la luce in fondo al tunnel” secondo il ministro degli Interni italiano Marco Minniti.

SABRATHA

Il “gruppo armato” opera nella zona di Sabratha, considerata con Zuara (poco più a ovest) uno dei principali rubinetti del flusso migratorio – là si trovavano, tra l’altro, anche campi di addestramento dello Stato islamico, e non è escluso che sacche baghdadiste siano rimaste ancora nell’area con un profilo dormiente e discreto; Sabratha è una cittadina significativa per l’Italia, è lì per esempio che sbarcarono gli incursori dei Comsubin e del Reggimento San Marco per verificare se le piattaforme Eni erano sicure dopo la deposizione del rais Gheddafi nel 2011; sempre lì, a marzo dello scorso anno, rimasero uccisi due dei quattro tecnici italiani rapiti mesi prima.

IL BLOCCO DA TERRA

Ora i miliziani, qualche centinaia, lavorano in questo territorio a 70 chilometri a ovest di Tripoli per impedire ai migranti di imbarcarsi e attraversare il Mediterraneo verso Lampedusa e la Sicilia. E in via informale sono parte del piano di contenimento studiato da Minniti, che proprio su Sabratha aveva focalizzato l’attenzione quando una decina di giorni fa dichiarò che Roma avrebbe mandato degli aiuti umanitari che poi Tripoli avrebbe smistato per assistere i profughi – molti provenienti dalle aree centrali dell’Africa – bloccati in pessime condizioni in Libia.

IL LAVORO DELLA BRIGATA

Il loro ruolo della Brigata 48 – autogestito, senza giurisdizione formale ma pare con un appoggio discreto del governo tripolino – è facilitato dal fatto che l’attività degli scafisti è piuttosto radicata e dunque nota. Si sanno i luoghi di ritrovo e imbarco dei profughi, e dunque nel rastrello del pattugliamento resta sempre qualcuno da bloccare e portare nei centri di detenzione improvvisati che il gruppo sta allestendo. A maggior ragione se, come spiega l’agenzia inglese, il capobanda è un “ex boss mafioso” locale che in passato gestiva lui stesso il traffico di migranti.

UN DATO SUGLI SBARCHI

C’è un dato: nell’agosto del 2016 ci furono oltre ventimila sbarchi, nei primi quindici giorno dello stesso mese, quest’anno, poco più di duemila. Non è chiaro quanto il lavoro della Brigata 48 abbia influenzato questo dato, ma le fonti della Reuters, raccolte anche tra le ong che lavorano tra Libia e Italia, dicono che a Sabratha, un tempo il cuore dei criminali che trafficavano esseri umani, qualcosa è cambiato.

libia, gentiloni

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