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Due martiri, per due epoche diverse della storia della Colombia, che pure è piena di violenza. Saranno beatificati il vescovo Jesus Emilio Jamillo Monsalve e il sacerdote Pedro María Ramírez Ramos. Entrambi sono stati uccisi in odio alla fede. Ma nessuno dei due è mai sceso direttamente nell’agone politico.

Ed è importante sottolinearlo, perché si cerca di dare al viaggio di Papa Francesco un peso politico che non è nelle intenzioni dell’episcopato colombiano. Si tratta invece di un viaggio per rianimare la speranza. Al di là dell’accordo di pace, che comunque né l’episcopato né la popolazione ha approvato fino in fondo, al di là dei processi che si sono avviati anche con l’Ejercito de Liberacion Nacional, i vescovi colombiani ci tengono a sottolineare quanto più possibile che la visita del Papa è pastorale. Per confermare i fratelli nella fede.

Una fede di cui c’è fortissimo bisogno, in una Colombia in cui la Chiesa è da sempre un punto di riferimento. Nonostante tutto.

Pedro María Ramírez Ramos è conosciuto come il “martire di Armero”. Lì fu ucciso, nel 1948, a soli 44 anni, il giorno dopo l’uccisione del politico colombiano Gaitan. E il motivo dell’assassinio fu quello di essere un “conservatore fanatico e pericoloso” e persino “colpevole” della valanga che causo 20 mila morti nel Paese il 13 novembre 1985.

Un capro espiatorio, insomma. Sacerdote dal 1931, fu parroco di Chaparral, Cunday, Fresno e Armero Tolima. Il 9 aprile 1948, padre Pedro si trovava in visita ad un malato nell’ospedale d Armero. Era il giorno dell’uccisione del candidato liberale Pedro Eliecer Gaitan, con un conseguente scoppio di violenza che non risparmiò il piccolo paese di Armero-Tolima. Era una contrapposizione politica, tra liberali e conservatori legati al presidente Mariano Ospina Perez.

E negli scontri di Armero, padre Pedro Maria divenne un bersaglio perché si riteneva vicino ad ambienti conservatori. Si rifugiò in una chiesa, rifiutò un aiuto per scappare dal paese durante la notte, e il giorno seguente fu tratto in arresto da un gruppo di liberali che profanò la chiesa e il convento, chiesero le “armi nascoste” (che non c’erano), poi presero il sacerdote, lo portarono nella piazza di Armero, lo linciarono e colpirono il suo corpo con un machete, lasciando il suo corpo in piazza prima che fosse gettato, senza talare, in una fossa comun, e senza riti religiosi. Solo il 21 aprile le autorità di Bogotà arrivarono ad Armero, e riuscirono a garantire una sepoltura cristiana.

Ma Ramirez sapeva di dover morire. Così – racconta il gesuita padre Alvarez Mejia – il 10 aprile celebrò Messa presto, confessò un malato in ospedale, fece visita a 170 carcerati e consegnò alle suore le ultime ostie del tabernacolo, conservandone per sé solo una. Quindi, scrisse il suo testamento a matita.

“Da parte mia – vi si leggeva – desidero morire per Cristo nella sua fede. A S. E. il signore vescovo esprimo immensa gratitudine poiché senza meritarlo mi fece diventare Ministro dell’Altissimo, sacerdote di Dio, e ora parroco di Armero, popolo per quale voglio versare il mio sangue. Un ricordo speciale per il mio direttore spirituale, il santo padre Dávila. Ai miei famigliari dico che sarò il primo nell’esempio che loro devono seguire: morire per Cristo. A tutti, con affetto speciale, guarderò dal cielo. La mia gratitudine profonda per le sorelle eucaristiche. Dal cielo intercederò per loro, in particolare per la Madre superiora Miguelina. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Armero, 10 aprile 1948”.

Il vescovo Jesus Emilio Jaramillo Monsave fu invece ucciso nel 1989, per mano di un commando dell’ELN – Ejercito de Liberacion Nacional – l’altra grande sigla della guerriglia colombiana, che ha recentemente avviato negoziati con il governo.

Come è stato ucciso il vescovo Jaramillo? Lo ha raccontato padre Elmer Munoz. “Lunedì 2 luglio – ha detto – viaggiavamo con il vscovo in un camper, sulla strada tra Fortul e Tame, in compagnia del parroco di Cravo Norte, Léon Sarabanda, del parroco di Fortul, José Lubin Rodriguez, del seminarista Germàn Iracoca e della segretaria Claudia Patricia Rodriguez”.

Tre uomini, vestiti in abiti civili, si identificarono loro come membri dell’ELN, chiesero i documenti, e presero solo il vescovo e il sacerdote. Al vescovo, vennero contestate presunte buone relazioni con i militari, e Munoz fu lasciato andare con la scusa che volevano parlare con il vescovo per mandare un messaggio al governo.

Munoz non sospettò nulla, nemmeno quando il vescovo Jaramillo gli chiese una confessione prima che partisse. “Il giorno dopo, Munoz ritornò insieme ad alcuni campesinos nei luoghi del giorno prima, e trovò il corpo del vescovo di Arauca che presentava sette ferite di proiettili di fucile e che era stato spogliato del suo anello e della sua collana”.

Ma perché l’accusa di una combutta con i militari? Jesus Emilio Jarmillo aveva studiato nel seminario dei Misioneros Javerianos Extranieros di Yarumales, la cui formazione era tutta dedicata al lavoro della missione. Per questo, quando il vescovo Jaramillo fu destinato ad Arauca, ritenne che l’unica forma possibile per neutralizzare la guerriglia era facendo apostolato sociale. Ma un apostolato non politico, non incluso nella teologia della liberazione. Lui lavorava con il governo. E questo non poteva piacere all’ELN.

Due sacerdoti, due martiri. Nessuno dei due è sceso in politica. Sono stati uccisi per il loro apostolato. Papa Francesco li beatificherà durante il suo viaggio in Colombia, probabilmente l’8 settembre.

(Articolo pubblicato sul sito di Aci Stampa ed è consultabile anche a questo link)

Perché quello di Papa Francesco in Colombia non sarà (solo) un viaggio politico

Di Andrea Gagliarducci per ACI Stampa

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