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L’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, e l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni, seduti a fianco sorridenti. Nessuna prova tecnica per estendere i rami del vecchio Ulivo fino alla tenda del professore, in vista della campagna elettorale. I due sono stati invitati da padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, nella sede della rivista del Gesuiti a via Pinciana a presentare il suo nuovo libro, “Nell’anima della Cina” (Ancora Editrice), una raccolta di tredici saggi scritti da gesuiti europei e cinesi per uno spaccato sulla spiritualità e la vita cattolica in Cina alla luce di secoli di operato apostolico da parte della Compagnia di Gesù.

L’alchimia fra premier ed ex premier è lampante, tanto che Gentiloni ammette di rivolgersi spesso al professore “per avere buoni consigli”. Ma il loro sguardo si staglia su Pechino, lontano dal Nazareno e dalle baruffe che vi abitano in queste settimane, per raccontare le esperienze diplomatiche con il Dragone. Spadaro d’altronde aveva avvertito i molti giornalisti presenti in aula, alcuni dei quali inviati direttamente dalla Cina: “Questo non intende essere un incontro politico, ma di testimonianza”. Al tavolo dei relatori è seduto anche Federico Lombardi, fedelissimo di papa Benedetto XVI, per cui ora presiede la Fondazione Ratzinger, e autore di uno dei 13 saggi.

Il suo contributo apre la raccolta, rileggendo a distanza di dieci anni la lettera che Ratzinger inviò alla comunità cattolica cinese. Una ricucitura delle relazioni con la chiesa cattolica nominata e controllata dal governo comunista di Pechino che ha trovato continuità con il pontificato di Francesco: “Ci auspichiamo risultati positivi sulla nomina dei vescovi e sulla costituzione di una conferenza episcopale riconosciuta e legittima” ha chiosato l’ex direttore della sala stampa vaticana. Le frizioni con il Partito Comunista Cinese non mancano, l’ultima in ordine di tempo riguarda il vescovo Taddeo Ma Daqin, rifiutatosi di ricoprire gli incarichi nella Chiesa governativa e per questo confinato nel seminario di Sheshan. “Non è tutto filato liscio nel corso dei secoli” ha ricordato Lombardi riferendosi in particolare “all’ideologia materialistica e agli atteggiamenti ostili della Repubblica Popolare”, anche se “non si può negare che negli ultimi decenni molto sia cambiato in meglio”. Il suo invito, che fa suo padre Spadaro nella prefazione del libro, è quello di guardare con realismo ai rapporti fra Chiesa e governo cinese, a “discernere le azioni adatte dalle situazioni concrete”.

Le diffidenze fra San Pietro e la Città Proibita non bastano però a cancellare i segni che le missioni gesuite hanno lasciato nella cultura cinese. È lo stesso premier Gentiloni a confermarlo, dall’alto delle sue quattro visite (tre con la Farnesina e una da premier, lo scorso maggio, al Belt and Road Forum) in terra cinese. Nomi di gesuiti del calibro di Matteo Ricci, il missionario marchigiano che inventò il primo mappamondo, del padre messinese Prospero Intorcetta, il primo in Europa a tradurre le opere di Confucio, o del cartografo trentino Martino Martini, sono pronunciati con grande rispetto in Cina.

“Uno straordinario esercizio di soft power che oggi si riallaccia perfettamente alla vocazione dell’Italia sullo scenario globale” commenta il primo ministro. Gentiloni plaude al tempismo del libro di Spadaro, in concomitanza “con un momento storico per la Cina, dopo il XIX congresso del Partito Comunista che, pur nella sua continuità evolutiva, non è stato come gli altri”. Piovono elogi sulla Cina di Xi Jinping, “che andrà lontano perché viene da lontano”, e sulle trasformazioni che la attraversano, su cui “l’Italia ha scommesso, e ha visto in questi anni un riscontro molto positivo”. Non manca però un monito del presidente del Consiglio sul rispetto dei diritti umani: “Noi italiani intendiamo relazionarci con la Cina mantenendo fermi i principi di pluralismo, della tutela dei diritti fondamentali e della centralità umana, il mito di un’efficienza economica che si sviluppa a discapito della democrazia non ci appartiene”.

Romano Prodi chiude l’incontro con un intervento a braccio, costellato di aneddoti dalla carriera politica e accademica. A Shangai insegna ancora oggi alla China Europe International Business School. “Nel mio primo anno di insegnamento uno studente mi chiese cosa mi aspettavo dalla Cina. Gli risposi che volevo una growing cooperative China, e tutti applaudirono” racconta l’ex premier, “l’anno successivo mi chiesero la stessa cosa e diedi la stessa risposta, ma la reazione fu diversa: “Cosa intende, che dobbiamo sempre restare sottomessi all’Occidente?”.

Segno che la distanza della cultura cinese rimane non solo dalla Santa Sede, ma anche dal mondo occidentale preso nel suo insieme. Un desiderio di revanche che porta oggi la società civile a “sentire fortissimamente la consapevolezza di essere vicini alla leadership mondiale, nel 2035 la Cina avrà il reddito pro capite più alto al mondo”. Le riaperture diplomatiche di Papa Francesco, riconosce il professore, vanno nella giusta direzione, “perché il dialogo anche religioso è di un’importanza enorme” e l’appello del pontefice “diventa molto credibile perché fatto non da un papa europeo, ma da un papa figlio di migranti, dunque senza la secolare diffidenza fra Cina e mondo occidentale”.

Romano Prodi

La Cina vista da Prodi, Gentiloni e padre Lombardi

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