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Sulle criptovalute, il blockchain e gli algoritmi fintech si va facendo una grande confusione, in parte giustificata solo in parte perché la materia è complessa, ma soprattutto perché non si distinguono gli effetti microeconomici, quelli riguardanti gli individui e le imprese, da quelli macro, che riguardano l’intero sistema. Si va ripetendo quello che è accaduto a cavallo degli anni 1970 e 2010, quando gli effetti microeconomici positivi degli eurodollari e dei derivati sfociarono in una crisi sistemica che travolse il regime di Bretton Woods e condusse alla Grande recessione dalla quale non siamo ancora usciti. Le innovazioni finanziarie sono strumenti potentissimi che andrebbero governati per tempo e non, come di consueto, dopo che le crisi scoppiano; per farlo occorre che la valutazione dei vantaggi microeconomici venga fatta alla luce delle loro implicazioni macroeconomiche.

Le criptovalute (come i bitcoin e gli ethereum) sono monete elettroniche che si avvalgono della tecnologia blockchain, che permette la decentralizzazione della creazione monetaria, ossia la nascita di una moneta privata liberamente accettata e di un sistema dei pagamenti fuori dai circuiti ufficiali che si presenta sicuro e trasparente per ciascun partecipante al circuito, ma impenetrabile da operatori esterni, ivi inclusi gli organi dello Stato. Perciò in esso confluiscono, protetti, i proventi illeciti. Poiché esistono più criptomonete, il loro scambio richiede un convertitore, ottenuto con tecnologie crosschain, come quella messa a punto dalla Comit di Hong Kong e altre. Se dal punto di vista microeconomico portano vantaggi, da quello macroeconomico creano problemi di non poco conto, poiché la diffusione delle criptovalute espropria la sovranità monetaria degli Stati, rovesciando uno dei principi cardini della politica monetaria, l’esogeneità dell’offerta di moneta: il mercato e non le autorità stabilisce la creazione di moneta, la cui creazione diviene endogena, impedendo di governare, ove necessario, tassi dell’interesse e inflazione. In un assetto in cui dominano le criptomonete le banche centrali perdono la loro ragion d’essere.

La reazione delle autorità di governo a questa possibilità è stata finora diversa, oscillando dalla decisione di rendere illegittimo l’uso delle criptovalute, come fatto dalla Cina, a quella di assegnare allo Stato il compito di gestirle direttamente, come deciso dalla Russia con la creazione del criptorublo. È già stata messa a punto una stanza di compensazione telematica tra le criptovalute ufficiali con tecnologie simili a quelle del crosschain, chiamata USC-Utility Settlement Coin.

Poiché la moneta è oggi in forma di depositi bancari che vengono usati per concedere credito, i rischi di questi ultimi si riverberano sul sistema dei pagamenti, che dovrebbe invece restarne esente essendo il sangue che circola nelle vene dell’economia, che deve essere tenuto immune da inquinamenti, che oggi non accade. L’economista Hyman Minsky e altri studiosi teorici delle cashless (senza cassa) bank hanno da tempo suggerito di scindere il funzionamento del sistema dei pagamenti da quello del credito, ma finora le autorità non disponevano dello strumento tecnico adatto, che oggi invece esiste con la tecnologia blockchain. Con il passaggio alle criptovalute nazionali (criptodollaro, criptoeuro, criptoyuan, ecc.) si potrebbe ancora garantire l’esogeneità della moneta, isolandola dai rischi di credito. Ciò dovrebbe essere deciso subito, perché la diffusione privata del nuovo strumento monetario potrebbe creare una situazione di ingovernabilità del sistema dei pagamenti nazionali e internazionale. La posizione espressa dal Chairman del Board della BCE, Mario Draghi, che lo strumento non è ancora maturo per essere regolato procede su un sentiero logico tradizionale che non tiene conto dei rischi indicati e ritiene che il problema vada affrontato con regolamenti. Credo sia errato e perciò diviene urgente la convocazione di una Conferenza monetaria internazionale simile a quella tenutasi nel 1944; l’iniziatore dovrebbe proprio essere il Fondo Monetario Internazionale, l’istituzione sopravvissuta alla dissoluzione del regime di Bretton Woods.

La sistemazione del problema di chi esercita la sovranità monetaria non può essere scissa dalla decisione di dare un nuovo assetto al sistema del credito che, a sua volta, richiede un nuovo modo di gestione del risparmio che serve per alimentarlo. Oggi questo compito è svolto in modo insoddisfacente con sbocchi drammatici, come quelli che hanno generato i derivati subprime credit che hanno portato al fallimento della Lehman nel 2008, con le conseguenze reali e finanziarie che hanno sconvolto anche l’Italia e snaturato le funzioni delle banche centrali di tutto il mondo. Le valutazioni del merito di credito, fondamento etico e pratico dell’attività bancaria, non hanno funzionato a dovere, ma oggi, come per il sistema dei pagamenti, esistono tecniche nuove messe a punto dall’Intelligenza Artificiale che generano algoritmi fintech sulla base di logiche matematiche, fisiche e biologiche applicate a big data, le grandi eterogenee raccolte di variabili che influenzano i comportamenti degli operatori. Le banche sono molto indietro su questa strada e preferiscono continuare a investire nel sistema dei pagamenti, da cui traggono grossi profitti diretti, facendo pagare i servizi, e indiretti, usando la moneta per concedere credito, esponendola ai rischi di quest’ultimo. Ritenere di poter governare questo sistema con regolamenti, lo rende costoso e inefficace, senza che l’obiettivo possa essere raggiunto. L’impegno delle autorità nella messa a punto del sistema regolatorio le distoglie dall’obiettivo di governare le criptovalute e la gestione del risparmio e del credito sulla base delle tecniche esistenti.

Gli algoritmi fintech consentono di gestire i risparmi e il credito su basi oggettive, trasparenti, sicure e, se si vuole, anche eque. Oggettive perché indipendenti dalle scelte dei gestori; è l’algoritmo a indicare se acquistare o vendere, short o long. Trasparenti perché documentabili in tempo reale operazione per operazione. Sicure perché impenetrabili da forze esterne e non utilizzabili per fini diversi dagli intenti dell’investitore, come accade in banca. Eque perché remunerabili sulla base dei risultati, senza oneri fissi predeterminati come le commissioni per le gestioni di portafoglio e gli spread per il rischio corso con i crediti. Oggi queste caratteristiche non esistono nelle gestioni dei risparmi e del credito, pur esistendo le tecnologie per farlo, che sono state ampiamente sperimentate con risultati positivi. Gli algos si avvalgono di metodi ormai noti in letteratura e applicati in pratica come la swarm intelligence, le neural network e la genetic logic. La swarm intelligence individua con metodi matematici quale sia il comportamento stabile all’interno di una serie di osservazioni apparentemente scoordinate, presente in uno sciame (swarm) di api o uno stormo di uccelli in volo. Le neural network si avvale della logica delle interazioni neurologiche per stabilire in che relazione si possono presentare i diversi aspetti dei comportamenti umani. La genetic logic consente di valutare le regole evolutive dei comportamenti del fenomeno osservato secondo protocolli di tipo darwiniano. In sintesi, gli algos consentono di valutare ogni attività finanziaria osservata – criptovaluta, azione, indice di borsa – l’impronta che possiede, unica e in tutto simile alle nostre impronte digitali, non percepibile dall’occhio umano, ma dal combinato effetto delle tecniche matematiche, fisiche e biologiche.

Siamo di fronte a una vera e propria rivoluzione digitale sui mercati monetari e finanziari. I gruppi dirigenti devono dimostrare d’averla compresa e saperla governare prima che il processo sfugga loro di mano.

de bortoli, europa

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