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Forse sarà meglio aspettare l’intervento del ministro della Difesa, Roberta Pinotti, martedì 1° agosto dinanzi alle commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato insieme con il titolare degli Esteri, Angelino Alfano, per conoscere i dettagli dell’operazione navale in Libia autorizzata dal Consiglio dei ministri del 28 luglio. Il rincorrersi di notizie sbagliate e sovradimensionate negli ultimi giorni ha solo aumentato la confusione su un argomento complesso e ha irritato sia il governo di accordo nazionale di Tripoli di Fayez al Serraj che Palazzo Chigi, costretto ad annunci più o meno ufficiali per tranquillizzare Tripoli e per riportare i fatti alla dimensione corretta.

I mezzi impegnati        

Al momento l’unica certezza dovrebbe essere il numero di due navi della Marina tra quelle della missione nazionale Mare sicuro, che quest’anno dispone al massimo di quattro navi (e non cinque come alcuni ripetono citando dati relativi all’anno scorso), oltre a 700 uomini e cinque mezzi aerei. Lo Stato maggiore della Difesa ha anche smentito l’avvenuta partenza di un mezzo in ricognizione nelle acque libiche: “Nessuna unità navale della Marina militare è ancora salpata per attività di ricognizione all’interno delle acque territoriali libiche” è scritto in una nota nella quale si precisa che la ricognizione, “necessaria premessa per lo sviluppo di un successivo intervento”, si farà solo dopo una direttiva politica e in accordo con i libici e ne sarà data notizia.

Il ruolo del Parlamento

E’ chiaro che si vuole aspettare il via libera parlamentare per evitare l’accusa di aver cominciato una missione non ancora autorizzata e l’avvio dipenderà quindi dalla velocità di Montecitorio e Palazzo Madama. A questo proposito, peraltro, un’interpretazione giuridica sostiene che non sarebbe stato necessario il passaggio parlamentare perché si tratta dell’estensione di una missione (Mare sicuro) a suo tempo approvata. A sostegno di questa tesi si fa l’esempio della missione Ippocrate avviata nel settembre 2016, cioè l’allestimento dell’ospedale militare a Misurata con 300 uomini tra sanitari e personale di scorta della Folgore. In quel caso ci fu solo un’informativa alle commissioni seguita da una risoluzione parlamentare in appoggio alla decisione del governo. All’epoca, però, si trattava di una missione umanitaria mentre stavolta, a prescindere dalle interpretazioni giuridiche, il peso politico della decisione è diverso.

I compiti

Il “supporto” alla Guardia costiera libica può significare molte cose e lo si capirà solo dopo la definizione delle regole d’ingaggio. Una nota di Palazzo Chigi ha spiegato che “la missione ha l’obiettivo di fornire supporto per le attività di controllo e contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di esseri umani, con compiti che si aggiungono a quelli già svolti per la sorveglianza e la sicurezza nell’area del Mediterraneo centrale”. Le operazioni di recupero dei barconi con i migranti, da riportare sulla costa, spetteranno ai libici e un primo aiuto sarà quello di presidiare l’area impedendo che i trafficanti ostacolino il lavoro della Guardia costiera: considerando che nelle scorse settimane non sono mancati gli scontri a fuoco, un equipaggio militare che potrà reagire con le armi dovrebbe essere un buon deterrente. Il 25 luglio, all’indomani del vertice di Tunisi del Gruppo di contatto, da Bruxelles era rimbalzata l’indiscrezione in base alla quale la Libia sarebbe pronta a dichiarare la propria area Sar (ricerca e soccorso), novità che avrebbe due conseguenze: dimostrare la capacità di intervento, visto che oggi tutto ricade di fatto sulla sala operativa della Guardia costiera italiana, e allestire un centro di coordinamento.

Centro di soccorso in Libia

L’aiuto delle navi italiane nel concorrere a presidiare l’eventuale area Sar libica sarebbe determinante e comunque nelle prossime settimane potrebbe entrare nel vivo la creazione delle due sale operative di cui si parla da tempo. Come spiegò il 5 luglio al Comitato Schengen il generale Stefano Screpanti, comandante del III Reparto-Operazioni della Guardia di Finanza, si pensa di “fare in Libia due centri: un centro marittimo di soccorso e una sala operativa di contrasto. La direzione centrale dell’Immigrazione e della Polizia di frontiera con l’Unione europea sta mettendo a punto un progetto per creare queste due strutture”. Screpanti precisò che per il centro di coordinamento del soccorso l’aiuto verrà dalla Guardia costiera italiana mentre per la sala operativa il supporto sarà della Guardia di Finanza, competente sul fronte del contrasto e dell’investigazione. I tempi tecnici non saranno brevi, nel frattempo molte speranze sono riposte nella missione navale. Sperando che non siano troppe.

Libia, ecco fatti e bugie sull'operazione navale dell'Italia

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