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Convocare Ignazio Visco? Certamente. Mario Draghi? Perché no. I banchieri come Gianni Zonin e Vincenzo Consoli? Loro no. “Trasformeremmo la commissione in un circo”, dice Bruno Tabacci che minaccia addirittura le dimissioni. La verità è che verrebbero alla luce gli intrecci politico-clientelari che guidavano la gestione delle banche popolari. Altro che circo, siamo al teatro dei pupi. La commissione ha scelto già il suo capro espiatorio: la Banca d’Italia; tutto il resto viene dopo, anzi meglio se non viene. Dunque, va difesa la Consob, istituzione di nomina politica, anzi partitica, anche se si è comportata come le tre scimmiette di fronte ai rapporti della vigilanza. Non saranno scritti con lo stile di Stendhal (“netto e chiaro come nel registro di un notaio”, diceva lo scrittore francese), ma persino uno sciocco capisce che cosa vogliono dire. Quanto ai banchieri, dice Tabacci, la sede delle loro testimonianze ormai è il tribunale. Ciò vale anche per Giuseppe Mussari l’ex capo del Monte dei Paschi di Siena che ha unto tutte le ruote di Siena, dal Palio alla squadra di basket. La Fondazione si è svenata per salvare il Monte; certo, ma nessuno calcola quante trasfusioni ha ricevuto prima (come del resto è successo con la Etruria, le banchette del Centro Italia, le Venete).

Gli “ignari risparmiatori” vogliono indietro i loro soldi a carico di chi i mutui e i debiti con le banche li paga eccome. Nessuno di loro è disposto a rinunciare nemmeno al suv, comprato grazie ai prestiti facili o alla speculazione su azioni palesemente sopravalutate. Negli Stati Uniti, quando è scoppiata la bolla dei subprime, chi aveva partecipato al bengodi finanziario ha dovuto pagare, vendendosi persino la casa. L’amministrazione Obama ha lanciato ciambelle di salvataggio, ma in modo selettivo. Anche lì sono scoppiate polemiche, ma è prevalso il timore di favorire l’azzardo morale (in parole povere i benefici se li intascano pochi e i costi li pagano tutti gli altri). In Italia, invece, l’azzardo morale è legge, quindi gli errori o gli imbrogli di alcuni vengono spalmati sui contribuenti e i risparmiatori onesti e corretti. Si dice che la Costituzione protegge il risparmio; certo, ma soprattutto chi lo ha gestito in modo oculato. In ogni caso, non protegge l’investimento. E se un risparmiatore compera azioni e obbligazioni diventa investitore se non proprio speculatore.

Come era prevedibile, i lavori della commissione stanno rapidamente sfuggendo di mano. Intanto, si prepara l’attacco al bersaglio grosso. Altro che duello tra Consob e Vigilanza, la posta in gioco per i partiti che guardano ormai solo alle elezioni, è chi governerà l’Italia dopo il voto e il bersaglio diventa Mario Draghi. Le polemiche sul suo operato come governatore della Banca d’Italia sono già scoppiate, altre e molte di più verranno fuori a proposito della crisi del Monte dei Paschi, prossima puntata della telenovela bancaria.

Matteo Renzi ha negato di avercela con il presidente della Bce, ha messo le mani avanti per non cascare indietro, rendendosi conto che il gioco si sta facendo troppo pericoloso e alla fine controproducente. Ma è chiaro che nella sua mente la conferma di Ignazio Visco è stata la prova generale dell’asse di ferro tra Sergio Mattarella e Mario Draghi destinato a diventare il punto di riferimento dei prossimi equilibri politici. E’ una convinzione che condivide con Beppe Grillo e li accomuna, sia pur in modo del tutto strumentale.

A entrambi non piace un governo del presidente, soprattutto se dalle urne non uscirà un chiaro vincitore, e Draghi è la più alta “riserva della Repubblica”. Intendiamoci, il presidente della Bce non vuole lasciare Francoforte fino alla scadenza naturale del 2019, ma questo non esclude nulla. Come ha insegnato il 2011, si può governare meglio dalle rive del Meno (ricordiamoci la lettera della Bce al governo Berlusconi) che dalle sponde del Tevere soprattutto quando c’è il sostegno attivo del Quirinale.

Se vincerà il Movimento 5 Stelle, è prevedibile un effetto Catalogna moltiplicato per dieci, con fuga di capitali e di imprese straniere, una nuova guerra dello spread, un attacco massiccio della speculazione finanziaria. In quel caso sarà decisiva la Bce ancor più che la commissione europea che non ha bazooka (monetari) da far sparare. Se uscirà un equilibrio instabile, in vista di nuove elezioni, modello Spagna (è questo lo scenario prefigurato da Renzi) sarà ancor più importante un timoniere che tenga la barra diritta a Roma sostenuto da Francoforte e da Bruxelles. Ma questo è vero anche nel caso che governi di nuovo il centrosinistra o a palazzo Chigi vada un leader (quale ancora non si sa) del centrodestra. Perché nell’un caso o nell’altro la maggioranza, con questa legge elettorale, sarebbe instabile.

Se questo è vero, mettere in difficoltà Draghi non sarebbe un suicidio politico? Oggi come oggi ne ha tutte le parvenze, tuttavia il dibattito nella commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche ha rivelato quanto forte sia in questo parlamento il mix di demagogia populista e improvvisazione politica. Continuiamo così, facciamoci del male.

Lira, Draghi, Qe

Azzoppare Mario Draghi non sarebbe un suicidio politico?

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