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Ieri sera, intorno al tramonto, tre palestinesi provenienti dalla West Bank hanno condotto un attacco terroristico a Gerusalemme armati di coltelli e di un fucile Carl Gustav, uccidendo una poliziotta e ferendo altre quattro persone. L’attentato è avvenuto sulla Sultan Suleiman Street, vicino alla Porta di Damasco, una delle vie di accesso alla città vecchia. Quanto alla dinamica dell’agguato, sembra che due dei tre assalitori abbiano aperto il fuoco su un gruppo di agenti cercando nel contempo di usare contro di loro i coltelli; gli aggrediti sono stati immediatamente raggiunti dal sergente maggiore Hadas Malka, 23 anni, su cui si è accanito con il coltello il terzo terrorista ferendola a morte. Due dei tre aggressori sono stati uccisi sul posto, mentre il terzo risulta ferito.Il bilancio dell’agguato sarebbe stato assai più grave se il fucile non si fosse inceppato.

La notizia rasenterebbe l’ordinario se non fosse per un particolare: immediatamente dopo l’attacco, è arrivata la rivendicazione dello Stato islamico che, attraverso il famigerato canale Amaq ha dichiarato: “Coloro che hanno eseguito l’accoltellamento a Gerusalemme erano soldati dello Stato islamico”. In un secondo comunicato, in cui i terroristi vengono definiti “leoni”, sono identificati come Abul-Bara al-Maqdisi, Abul-Hassan al-Maqdisi e Abu Riyah al-Maqdisi, Il comunicato aggiunge minacciosamente: “Col permesso di Allah, questo attacco non sarà l’ultimo, gli ebrei si attendano la demolizione della loro entità attraverso le mani dei soldati del califfato”.

Ma poco dopo la diffusione del comunicato dello Stato islamico è giunta la secca smentita di Hamas, che su Twitter definisce una bugia quella del gruppo jihadista precisando che i tre “martiri non hanno nulla a che fare” con l’IS e che si trattava semmai di due membri del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e di un militante di Hamas. Successivamente, in una dichiarazione diffusa sul suo sito in arabo, il portavoce di Hamas Sami Abou Zouhri ha accusato l’IS di voler confondere i media, mentre su Twitter un altro membro del gruppo aggiungeva che l’attacco è “una nuova prova che il popolo palestinese continua la sua rivoluzione contro l’occupante”, e che i palestinesi stanno solo “esercitando il loro diritto a resistere”.

Sebbene dal 2015 si siano contati a decine attacchi di questo genere, condotti per lo più con armi da taglio o veicoli – da allora sono stati uccisi circa 42 ebrei, due turisti americani e uno studente britannico, contro 250 palestinesi classificati da Israele come aggressori – era da un po’ di tempo che la situazione sembrava essersi calmata. Evidentemente, i terroristi di ieri hanno approfittato della calca del terzo venerdì di Ramadan, con migliaia di palestinesi che erano accorsi per celebrare la ricorrenza andando a pregare nella moschea di al-Aqsa, per riaprire le ostilità o quanto meno per rompere la relativa calma.

Senza ricorrere necessariamente alla fantapolitica, si può anche ritenere che l’attacco di ieri, sempre che sia stato condotto effettivamente da Hamas e dal FPLP, rappresenti una risposta alle manovre diplomatiche in corso in queste settimane, con gli americani che stanno premendo affinché il processo di pace riparta e sono pronti a mediare insieme agli altri paesi arabi per trovare una soluzione all’enigma più ostico del Medio Oriente.

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