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(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)

Pur con tutta la prudenza consigliata da un professionista dell’analisi politica quale sicuramente è l’amico Stefano Folli, su Repubblica, mi sento di scrivere che è finita l’emergenza dei grillini di fronte ai risultati del primo turno delle elezioni amministrative, senza timore di smentite dai ballottaggi del 25 giugno, dove i pentastellati saranno non a caso generalmente assenti.

Potranno ancora vincere, come sperano ancora per ragioni non foss’altro di comprensibile propaganda, le elezioni regionali siciliane di novembre, nonostante il fiasco nelle comunali a Palermo, ma i grillini hanno smesso di fare paura. Il loro qualunquismo, anche se in tempi meno rapidi di quello originario e autentico dell’omonimo movimento del commediografo, anziché comico, Guglielmo Giannini nel secondo dopoguerra, ha cominciato a stancare. E stancherà sempre di più, dopo l’imprudenza di cercare e ottenere l’avventura di amministrare Comuni delle dimensioni di Roma e di Torino.

Il qualunquismo, o la demagogia, come preferite, quella fissazione di stimolare più la pancia che la testa degli elettori, quel senso ossessivo di diversità, che costò caro persino ad un partito organizzato come il Pci e ad un leader davvero carismatico come Enrico Berlinguer, è un po’ un fenomeno -scusate la franchezza dell’immagine e dell’espressione- di erezione politica. Che non può umanamente e fisiologicamente durare in eterno, per quante stimolazioni si possano cercare e ottenere.

Anche al più bravo dei comici capita ad un certo punto di far sorridere, più che ridere a crepapelle, se si ostina a lasciare invariato il suo repertorio. O, addirittura, a peggiorarlo con atteggiamenti rovesciati rispetto al grandissimo Charlie Chaplin. Che demolì con la sua comicità, ben prima che riuscissero a farlo gli eserciti di mezzo mondo, uno come Hitler. A  sta invece capitando di essere demolito dai suoi imitatori all’interno del Movimento, poco importa se di prima o di seconda linea, in abito scuro o in jeans, con o senza la congiuntivite del vice presidente della Camera Luigi Di Maio.

La crisi, finalmente, dell’emergenza grillina comincia a restituire allo scenario politico il cosiddetto bipolarismo di cui è visssuta bene o male, a volte in verità più male che bene, la cosiddetta seconda Repubblica. Le città oggi e l’intero Paese domani, o dopodomani, secondo le scadenze elettorali sulle quali l’ultima parola ce l’ha il presidente della Repubblica, potranno riprendere ad essere contesi dal centrodestra e dal centrosinistra. Ma con due varianti rispetto al passato.

Nel centrodestra sono cambiati gli equilibri tra la Forza Italia che fu ed è ancora di Silvio Berlusconi e la Lega che fu di Umberto Bossi ed è adesso di Matteo Salvini. L’ex Cavaliere non se ne capacita. Ha sperato di aggirare il problema puntando proprio sull’emergenza grillina e sull’altra conseguente emergenza delle cosiddette larghe, anzi larghissime intese, in cui l’interlocutore principale, se non unico, del centrosinistra poteva essere solo lui, arrivato nelle scorse settimane a imporre praticamente al risegretario del Pd Matteo Renzi il ripiegamento sul sistema elettorale proporzionale della prima e spesso a torto odiata prima Repubblica.

Nel centrosinistra, diversamente dal centrodestra, la componente di sinistra si è ulteriormente divisa con l’umorale scissione consumata dai vari Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani. Che dovranno rassegnarsi, specie ora che sono costretti dai loro numeri inconsistenti ad affidarsi alla mediazione dell’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, a contenersi davanti ad un Renzi che non è uscito dalle urne amministrative come loro speravano, cioè a brandelli.

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