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Il Festival dell’Energia, promosso da Allea e giunto alla decima edizione – complimenti ad Alessandro Beulcke – è tra i maggiori eventi dedicati all’energia responsabile, intesa come innovazione, sviluppo e sostenibilità, ma soprattutto come percorso obbligato se si vuole creare una trasformazione positiva e percorribile del settore. Insomma uno spazio importante di incontro e confronto tra imprese, politica, istituzioni, ricerca, media, società civile e opinion leader.

Personalmente quest’anno ho avuto il piacere di partecipare al working group “Impresa e territorio”, coordinato da Claudio Velardi (Ottimisti e Razionali) con un panel formato da esperti che hanno condiviso la propria ricchezza di esperienze e proposto una serie di sguardi differenti sui temi energetici: con me c’erano, tra gli altri, Emilia Blanchetti (Nimby Forum), Leonardo D’Acquisto (Italgas), Eleonora Faina (API), Mario Polese (Consigliere Regionale Basilicata) e Luigi Ciarocchi (Eni).

Ho fondato il mio contributo sul binomio imprese e territorio: discutere di energia oggi significa parlare del futuro industriale ed economico di questo Paese. Perché il tema non coinvolge solo il settore in sé, con le sue migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori. E se per concretizzare i segnali di ripresa, occorre che la crescita per il 2017 dal flebile 0.6% diventi qualcosa di più solido, dobbiamo prestare attenzione a quello che sta emergendo, ai cambiamenti in atto.

Per questo ho colto l’opportunità di non di parlare solo di energia, della disputa rinnovabili contro fossili o, in alcuni casi, fossili contro fossili o infine, addirittura, rinnovabili contro rinnovabili, ma di scuola, formazione, educazione.
Partendo da una riflessione: rispetto a 50 anni fa, oggi sappiamo molto di più su come l’uomo opera nell’industria, nei servizi e in ogni campo produttivo e sulla sostenibilità ambientale. E fra 50 anni, ovviamente, chi si guarderà indietro concluderà che sapevamo poco o nulla. Oggi il paradigma di sviluppo, per definizione, si basa su alcuni pilastri insostituibili: la ricerca tecnologica e l’innovazione che ne consegue, le politiche che favoriscono gli investimenti, la formazione scolastica e universitaria. Ho insistito sul fatto che oggi la forza primaria della competizione industriale è l’innovazione tecnologica-scientifica-ecologica e non la globalizzazione. E neanche il termine magico digitale.

Accanto a questi anche un elemento che forse appare immateriale, ma che ha un impatto decisivo su come una società è in grado di accettare e sostenere le politiche di sviluppo proposte da chi la governa, cioè una nuova etica. Che riguardi tutti i settori: nell’energia è l’atteggiamento che ci deve aiutare a capire come la produzione non sia un complotto di qualche potere forte o di una multinazionale, ma la naturale attività di una nazione (e dell’Europa, per conseguenza) che voglia garantire il benessere ai propri cittadini.

Tornando quindi all’energia, sono partito dal significato che la parola ha in greco antico: lavoro, azione, capacità di fare. Noi abbiamo bisogno di più energia, sia quella che ci ricarica gli smartphone sia quella che ci fa produrre politiche innovative per fare ripartire il Paese. Ma dobbiamo stare anche connessi con questo paese. Quello reale.
Fatto di tante e diverse parole chiave, nuove o vecchie, come per esempio il termine periferie. Dove è noto girano macchine elettriche o esistono edifici con efficienza energetica da rating svizzero.

Ecco perché va definita al più presto una roadmap italiana, europea non ‘a la cart’, o da salotto buono, ma reale e ‘raggiungibile’ per costruire il futuro anzi il presente energetico.

Una transizione che punti su un mix di gas naturale e rinnovabili (che però non drenino solo incentivi) e che sfrutti al meglio le risorse nazionali. Sto parlando della rivoluzione del GAS, che ci permetterebbe di essere meno dipendenti dall’estero per gli approvvigionamenti, (e qui andrebbe aperta una parentesi gigantesca sulle reti dei gasdotti: dal North Stream, al Turkstream, al Power Siberia a quello Giappone-Russia, ma ho trattato il tema grazie a Formiche.net in questi 6 mesi). Un esempio di questa rivoluzione del GAS: il futuro GNL nei trasporti marittimi .

Non potremo mai essere autarchici (anche Nanni Moretti non lo è più) lo sappiamo, ma possiamo costruire una palestra dove fare crescere le competenze dei tecnici che usciranno dalle nostre scuole.

E per fare crescere generazioni di tecnici, di ingegneri, di specialisti servono investimenti sulla formazione e, perché no, anche incentivi (un esempio è il salario che in molti Paesi viene assegnato agli universitari dallo Stato) a chi è disposto a studiare e specializzarsi in ingegneria, geologia, matematica, fisica. E perché non pensare a un salario per chi frequenta gli istituti tecnici (l’idea l’ho rubata a Romano Prodi). Perché non spostare quota degli incentivi alle rinnovabili o delle royalties?

Se ci pensate, questo incentivare la ricerca e l’innovazione, la formazione di professionisti di eccellenza, è quello che abbiamo sempre fatto. È il progetto di Enrico Mattei: costruire una via italiana e fare dell’Italia un Paese produttore di energia senza avere materia prima.

L’occasione di ripetere, rinnovandola, l’esperienza di Mattei si chiama Adriatico. Si tratta di continuare a credere a un sistema di imprese collegato al settore energetico che opera lungo le coste adriatiche, in quella che è la palestra del futuro industriale italiano, coniugando gas a km Zero e sviluppo delle rinnovabili, attività dei centri di ricerca marini e turismo. Un percorso di sostenibilità ambientale, economica e sociale verso cui la stessa Eni sta procedendo con grande convinzione, visti gli investimenti complessivi per 31,6 miliardi, con un flusso medio annuo di poco meno di 8 miliardi. Di questi, oltre 2 miliardi riguardano l’offshore dell’Adriatico. Ma ce la faremo a concretizzarli? Le opportunità vanno colte subito.

In Adriatico c’è gas a chilometro zero: e nella sola Emilia-Romagna ci sono circa 10mila lavoratori impiegati direttamente nell’oil&gas, in 976 aziende (e considerando anche chi opera in settori affini – meccanica, impiantistica, logistica, ingegneria, ecc – arriviamo a quasi 100mila persone). Vuol dire che siamo già pronti per produrre gas in modo competitivo e sostenibile.

L’Adriatico ha tutte le carte in regola per essere il luogo d’elezione dove testare la nostra tecnologia e costruire quel percorso di transizione energetica che ci porti verso un futuro 4.0, allo stesso tempo formando ed educando le nuove professionalità e la nuova classe dirigente. Se ci pensiamo, è quello che del resto fece la generazione ‘Enrico Mattei’.

L’Italia è un Paese manifatturiero ma non un Paese manifatturiero qualunque: è uno dei primi del mondo, il secondo in Europa. Se pensiamo ai termini della questione, a quali siano i tre-quattro punti sui quali si poggi il nostro sviluppo vediamo che c’è la manifattura e che la manifattura ha bisogno di energia, che hanno bisogno della politica. E tutti abbiamo bisogno della formazione.
E forse lavorando assieme, riusciremo a lavorare tutti.

Tutto si tiene, come sempre. L’opportunità è come l’alba. Se aspettate troppo la perdete.

Bessi, Ilva

Perché all'Italia serve una rivoluzione del gas

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