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Il presidente Trump ieri ha annunciato la decisione di uscire dall’accordo di Parigi sul clima. Riproponendo il claim della campagna elettorale, “America First”, ha dichiarato che l’accordo di Parigi avrebbe minato l’economia americana, compromesso l’occupazione, indebolito la sovranità nazionale americana e messo il Paese in uno svantaggio permanente rispetto agli altri paesi del mondo, riporta Reuters. “Ci tiriamo fuori”, ha proseguito Trump, mantenendo una delle maggiori promesse della campagna elettorale: “Non vogliamo più che altri leader e altri paesi ridano di noi, e non lo faranno. Le stesse nazioni che ci chiedono di rimanere nell’accordo sono i paesi per colpa dei quali l’America ha avuto costi complessivi per trilioni di dollari, attraverso pratiche commerciali dure e, in molti casi, contributi negligenti alla nostra alleanza militare”.

CHE COSA PENSA L’EX MINISTRO DELL’AMBIENTE, EDO RONCHI

Il presidente Usa è deciso più che mai, dunque, a tirare fuori il paese dall’accordo sottoscritto da Obama. Tuttavia non è chiaro come questo avverrà. I termini stabiliti dal trattato stesso, per l’uscita di un Paese firmatario, non sono dalla sua parte. Dal momento che l’accordo impedisce passi indietro prima di tre anni dall’entrata in vigore, e altri 12 mesi affinché la notifica di uscita sia efficace, “solo nel 2020 Trump potrà ritirarsi legalmente dal trattato, quindi solo se rieletto”, ha spiegato Edo Ronchi, presidente della fondazione Sviluppo sostenibile (già ministro dell’Ambiente Prodi I, D’Alema I e II). Inoltre, prosegue Ronchi, “l’accordo non è iniquo, anzi va a vantaggio degli Stati Uniti, poiché potrebbero emettere una quantità di Co2 pro capite superiore a Europa e Cina”.

LA TEMPISTICA DELL’ACCORDO DI PARIGI

La Convenzione di Vienna prevede che il ritiro da un trattato internazionale possa avvenire secondo le modalità previste dal trattato stesso. “L’accordo di Parigi, sottoscritto da 175 Paesi, Stati Uniti compresi, è un trattato internazionale – ricorda Ronchi – in vigore dal 4 novembre 2016. L’art. 28 dell’accordo di Parigi prevede che per tre anni dalla sua entrata in vigore – quindi fino al 4 novembre 2019 – nessun paese possa notificare la decisione per uscirne e che, presentata tale notifica, debba passare almeno un altro anno perché possa avere efficacia. Almeno fino al 4 novembre 2020, quindi nessuno dei paesi firmatari dell’accordo di Parigi può legalmente uscirne. Poiché le prossime elezioni presidenziali americane sono fissate il 3 novembre 2020, Trump, se seguisse la via della legalità internazionale, per vedere l’uscita dall’accordo di Parigi, dovrebbe essere prima rieletto”.

PERCHE’ L’ACCORDO DI PARIGI NON E’ INIQUO VERSO GLI STATI UNITI

“Secondo i dati pubblicati da Iea (International Energy Agency) nel 2015 – aggiunge l’ex ministro dell’Ambiente – la somma delle emissioni di Co2 del settore energetico, dal 1880 al 2014, degli Stati Uniti, sono state ben superiori sia a quelle della Cina, sia a quelle dell’Europa: nell’aumento delle concentrazioni di gas serra in atmosfera, che sono alla base della crisi climatica, c’è quindi una maggiore responsabilità storica degli Stati Uniti.  Sempre secondo la Iea, applicando gli impegni dell’accordo di Parigi, gli Stati Uniti al 2030 emetterebbero, nel settore energetico, 10,9 tonnellate all’anno di Co2 pro capite, ben più della Cina, che sarebbe a 7 tonnellate all’anno pro-capite, e dell’Europa, che sarebbe a  4,7, meno della metà di quelle americane”.

I DANNI ECONOMICI PER GLI USA MAGGIORI DEI VANTAGGI PROCURATI A SOSTENITORI  TRUMP

Per Ronchi infine, Trump tiene in considerazione solo i vantaggi dei settori che lo hanno appoggiato in campagna elettorale (del carbone e dell’industria ad alta intensità energetica fossile). “Non ha infatti nemmeno citato – conclude – né i costi della crisi climatica che sono  ingenti anche oltreoceano (siccità con perdite  in agricoltura, enormi costi assicurativi e di riparazione dei danni causati dall’aumento della frequenza e dell’intensità degli eventi atmosferici estremi, costi sanitari delle ondate di calore, per citarne alcuni), né i vantaggi economici e occupazionali generati dalle imprese della green economy, maggiori di quelli possibili del settore dei combustibili fossili. Se l’annuncio di Trump dovesse concretizzarsi, i danni economici per gli Usa sarebbero ben maggiori dei vantaggi procurati ad alcuni dei suoi sostenitori”.

Cosa non dice Trump su clima e accordi di Parigi 2015. Parla l'ex ministro Edo Ronchi

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