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Nonostante quel “Vinco o mi ritiro” gridato col titolo principale della prima pagina per rilanciare ai lettori la promessa o minaccia, come preferite, che Silvio Berlusconi, con tanto di casco in testa, ha messo sul piatto elettorale, come aveva già fatto inutilmente Matteo Renzi nella corsa al referendum dell’anno scorso sulla riforma costituzionale, neppure il Giornale di famiglia del capo di Forza Italia ha saputo trattenersi dall’incredulità ironica. Che si è espressa nella fulminante rubrichetta De minimis, sempre in prima pagina, scherzando sulla località dove Berlusconi l’aveva sparata così grossa per commentare: “Ischiatutto”. E con quel che è accaduto col terremoto a Casamicciola ci sarebbe ben poco da ridere.

Accomunati ben più di quanto i loro critici non abbiano pensato dando loro il soprannome di Renzusconi, i due ex presidenti del Consiglio, volenti o nolenti, si specchiano continuamente l’uno nell’altro. Lo fanno anche nel “teatrino della politica” che entrambi disprezzano a parole offrendosi agli elettori come avversari irriducibili.

“Sarà un corpo a corpo” in ogni collegio elettorale, ha detto Renzi celebrando i 10 anni del Pd, nel teatro romano dell’Eliseo, per respingere i sospetti dei suoi compagni usciti o rimasti nel partito che egli abbia già messo nel conto dopo le elezioni un’alleanza con Berlusconi.

“Lo escludo per storia e ideologia”, ha detto quasi contemporaneamente Berlusconi, sempre a Casamicciola, parlando dell’ipotesi di un governo delle cosiddette larghe intese col Pd dopo le elezioni e mostrando come più chiaramente non poteva quanta poca considerazione egli abbia intimamente sia della storia sia dell’ideologia. Della storia, perché risale a non più tardi di sei anni fa la sua decisione di ritirarsi da Palazzo Chigi per appoggiare col Pd il governo tecnico di Mario Monti. Risale invece a non più tardi di quattro anni fa la decisione di Berlusconi di far partecipare il suo partito al governo presieduto dall’allora vice segretario del Pd Enrico Letta, cui poi avrebbe tolto l’appoggio per ritorsione contro la propria decadenza da senatore per essere stato condannato in via definitiva per frode fiscale, mentre i ministri che vi aveva messo rimanevano al loro posto uscendo invece dal suo partito e creandone un altro. Eppure dopo qualche mese soltanto Berlusconi, sempre lui, favorì in qualche modo la formazione del governo Renzi, sempre con quei ministri “traditori” dentro, facendo col segretario del Pd il famoso patto del Nazareno: ancora più importante di un patto di governo perché finalizzato addirittura alle riforme della Costituzione e della legge elettorale.

Per quanto riguarda poi l’ideologia, è curioso che ne parli proprio Berlusconi, che ha voluto e potuto entrare prepotentemente in politica grazie alla caduta delle ideologie, dopo il crollo del muro di Berlino e la liberalizzazione del voto cosiddetto di opinione dell’Italia divisasi ideologicamente, appunto, per quasi mezzo secolo fra comunisti e anticomunisti.

D’altronde, anche negli anni delle ideologie radicate, partiti dichiaratamente alternativi come la Dc e il Pci, per definizione dell’allora presidente democristiano Aldo Moro, andarono alle elezioni anticipate nel 1976 per uscirne accomunati nella maggioranza di cosiddetta solidarietà nazionale.

Per quanto euforico per il protagonismo politico conservato alla bella età di 81 anni, e nonostante la guerra subita sul piano giudiziario, Berlusconi dovrebbe un po’ contenersi nelle promesse o, in questo caso, nelle minacce di ritorsione verso gli elettori che la prossima volta dovessero impedirgli di ottenere la maggioranza. E ciò in uno scenario politico ed elettorale che, nonostante il concetto di coalizione riproposto dalla riforma nota com Rosatellum, non potrà permettere a nessuno – ma proprio a nessuno, neppure a Berlusconi, oltre che a Renzi, a Grillo e a chi capeggerà la sinistra cosiddetta radicale dei vari Bersani e D’Alema – di uscire dalle urne vincitore, titolare cioè di una maggioranza traducibile in un governo autosufficiente.

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