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L’ultimo è stato il democratico Grover Cleveland, a fine 800. Adesso, oltre 120 anni dopo, è Donald Trump il presidente eletto, sconfitto e poi ancora portato alla Casa Bianca dall’onda repubblicana. E i mercati, che fino a poche ore fa erano rimasti silenti, in attesa dell’esito del voto più importante per il Pianeta, hanno dato la loro lettura. Che poi sarebbe una sostanziale promozione.

Il ritorno di Trump alla guida della Nazione più potente del mondo, impresa senza precedenti se si considerano i due impeachment, vari processi, due condanne penali e vari scandali, è una buona notizia per gli investitori e per i risparmiatori. Se non altro perché uno dei capisaldi della trumpnomics è il taglio delle tasse sui redditi e i fatturati delle grandi imprese. Il che, spesso, vuol dire dividendi più generosi al mercato.

Ebbene, passando in rassegna i listini, la sensazione è stata subito quella dell’euforia, forse anche sull’onda della consapevolezza di una maggiore stabilità politica, con il Congresso saldamente sotto il controllo repubblicano. Le Borse europee, tanto per cominciare, hanno aperto tutte in rialzo: Francoforte dell’1,21%, Londra dell’1,24%. Maggiore slancio per Parigi , che ha guidato i guadagni con un secco +1,62%, mentre Piazza Affari, fin dalle prime battute, si è portata oltre l’1%, per poi girare, unica in Europa, in negativo. Sul versante americano, quello più atteso, i futures sul Dow Jones Industrial Average si sono portati a quota 809 punti, pari a circa l’1,9%, facendo presagire una seduta sprint.

E così è stato, con un’apertura in forte rialzo per la borsa di New York. I principali indici hanno brindato alla vittoria di Trump, con il Dow Jones in scatto del 3,17% in apertura dopo il +1% conquistato ieri. L’S&P 500 si è infiammato al 2,15%, in linea con il Nasdaq che ha subito fatto segnare il +2% a pochi minuti dalla partenza degli scambi. E balzo di Tesla, pochi minuti dopo l’apertura degli scambi a Wall Street. La società automobilistica co-fondata da Elon Musk, tra i più vicini a Trump in questi mesi di campagna elettorale, si è impennata del 15% e portandosi oltre i 288 dollari per azione a 251 dollari per azione.

Non è finita. Le Borse asiatiche hanno viaggiato invece in ordine sparso, forse intimorite da una nuova stretta sui dazi, altra pietra angolare della politica economica di Trump. In Cina l’indice composito di Shanghai è scattato dello 0,45, mentre quello di Shenzhen è rimasto piatto (-0,03%). In forte calo Hong Kong dove l’indice Hang Seng ha perso il 2%. La Borsa di Tokyo, infine, ha concluso la seduta in sostenuto aumento, trainata dalla svalutazione dello yen, ai minimi in tre mesi sul dollaro. E anche sul versante delle criptovalute c’è un effetto Trump. Bitcoin ha raggiunto un nuovo massimo storico superando lievemente la soglia dei 75.000 dollari (a 75.005 dollari) spinto dalla prospettiva di un alleggerimento normativo favorevole alle valute digitali.

Attenzione però a non confondere l’euforia della prima ora con una lunga rincorsa dei listini. Gabriel Debach, Italian market analyst di eToro, ha ricordato come domani la Fed “potrebbe raffreddare questo entusiasmo. Sebbene un taglio dei tassi resti possibile, la banca centrale potrebbe mantenere un approccio più prudente sul futuro percorso della politica monetaria. Con il settore tecnologico, principale pilastro di Wall Street, che aveva scommesso su una vittoria democratica, la pressione dei rendimenti decennali in aumento e una Fed meno espansiva rispetto alle attese del mercato, questa situazione potrebbe rappresentare la prima doccia fredda per i mercati”.

“La vittoria di Trump”, ha commentato invece Filippo Diodovich, Senior market strategist di IG Italia, “ha portato a reazioni nettamente positive da parte del comparto azionario: Dow Jones ed S&P500 hanno festeggiato i massimi storici e il Russell2000 si conferma il listino con la performance migliore. Tra le azioni vola il titolo di Tesla, sancendo la vittoria di Elon Musk sui mercati. Le reazioni sono spinte principalmente dal programma elettorale del candidato repubblicano, che in materia economica ha particolarmente a cuore il settore industriale e la piccola imprenditoria degli stati centrali in Usa, che dovrebbe sostanziarsi in politiche ultra espansive per quanto riguarda la spesa ma soprattutto nel sostegno alle imprese, con la diminuzione fino al 15% della corporate tax attualmente al 21%”.

 

 

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