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Emmanuel Macron è stato eletto alla Presidenza della Repubblica Francese.

La maggioranza elettorale che si è aggregata intorno al suo nome è molto eterogenea; lo abbiamo capito dai risultati del primo turno, e lo vedremo ancora meglio alle elezioni politiche di giugno.

Ognuno di coloro i quali lo hanno votato, ha visto in Macron una soluzione a problemi diversi. Ma la campagna elettorale di Macron si è caratterizzata per un messaggio specifico e forte: la sovranità dei cittadini (la capacità dei poteri pubblici di soddisfare i loro bisogni collettivi) non passa più per la sovranità dello Stato nazione, ma per una sovranità condivisa a livello europeo.

È un messaggio importante: il recupero dell’idea stessa, fondante d’integrazione europea che aveva dominato i primi anni dell’unificazione, fino a quando proprio la Francia di De Gaulle mise un freno a quel percorso di condivisione della sovranità, non ratificando il trattato della Comunità Europea di Difesa, nel 1954.

Oggi la Francia ha votato invece per rilanciare l’idea di sovranità condivise, per l’abbandono del mito dello Stato-nazione. Non siamo sicuri che tutti gli elettori di Macron ne siano pienamente consapevoli; ma questo è il messaggio che Macron ha voluto caratterizzasse la sua campagna. E la sua incoronazione al Louvre è stata scandita dall’Inno alla Gioia (l’inno europeo), prima che dalle note della Marsigliese. I simboli contano.

Adesso la Francia deve riprendere in mano il destino suo e dell’Europa intera. Deve ridare sovranità ai cittadini europei portando la capacità di agire al livello al quale essa è efficace. E deve ridare legittimità democratica alla scelte collettive. Deve spingere perché l’Unione Europea, o una parte di essa poco importa, si trasformi in una vera democrazia sovranazionale, capace di agire.

Deve dimostrare che sono proprio i cittadini che gli stanno a cuore. Non le banche, non i governi e le loro decisioni intergovernative che privano i cittadini del controllo democratico sulle scelte di Bruxelles. Non le elites finanziarie o quelle industriali. Ma tutta la società francese ed europea. Nella quale certo ci sono anche interessi legittimi e potenti, ma che non possono essere sistematicamente anteposti alle regole democratiche della convivenza civile.

Questo è quello di cui anche i quasi 8 milioni di elettori della Le Pen sentono urgente bisogno: recuperare la dimensione delle scelte collettive (non a livello nazionale ma a tutti i livelli, da quello locale a quello europeo). Che significa solidarietà e protezione sociale; capacità di realizzare efficaci politiche anticicliche; strategie di politica estera, di sicurezza e di difesa; politiche dell’accoglienza e dell’immigrazione orientate ad aggredire i problemi strutturali, non le continue emergenze; politiche energetiche comuni e innovative. Significa guidare, non subire, i cambiamenti tecnologici, demografici, climatici. Significa assicurare il rispetto delle diversità locali e nazionali, ma nel quadro di una unità strategica e d’intenti sovranazionale, unica dimensione in grado di assicurare la sopravvivenza della civiltà europea nel mondo.

Non è una scommessa facile. Finora, tutto sommato, per Macron è stato tutto piuttosto semplice: presentarsi come l’alternativa a partiti e schieramenti politici decotti, stantii, incapaci di interpretare i bisogni profondi della popolazione; opporsi all’obsoleto sovranismo nazionalista della Le Pen. Adesso inizia la sfida vera, dove in gioco ci sono il destino, le prospettive, il futuro dei cittadini francesi ed europei. Il mandato elettorale dato a Macron è chiaro.

Adesso, per la Francia, non ci sono più alibi.

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