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Per recuperare un rapporto civile tra magistratura e politica ci vorrebbe un rinnovamento culturale da parte di entrambi i fronti”. Fabrizio Cicchitto, deputato di Alternativa popolare, ex socialista ed ex forzista, autore del libro “L’uso politico della giustizia”, presidente della commissione esteri della Camera, è uno dei massimi esperti della lotta che ha segnato gli ultimi 25 anni della vita politica italiana. E guarda sconsolato agli ultimi avvenimenti che segnano un solco sempre più profondo tra parlamentari e giudici, a partire dai casi Minzolini e Consip.

Un rinnovamento? Come?

Da una parte vanno recuperati i capisaldi dello Stato di diritto, della divisione dei poteri e della terzietà del giudice. Dall’altra, sul fronte dei partiti, bisogna finirla con l’uso politico della giustizia e smettere di cavalcare la tigre giustizialista che poi, quasi sempre, finisce col rivoltarsi contro chi la cavalca.

Che stagione vive il rapporto tra politica e magistratura?

Pessimo, è peggio del 92-94, quando lo schema che aveva tenuto in piedi il sistema della prima repubblica è saltato.

Si spieghi meglio.

Fino ad allora il finanziamento illecito ai partiti era un fatto sistemico della democrazia italiana con la Cia e alcune aziende di Stato che aiutavano la Dc e il Kgb e le coop rosse che finanziavano il Partiti comunista. Finita quella stagione per mano di Tangentopoli – che è stato il tentativo (fallito) di arrivare al potere da parte dell’ex Pci per via giudiziaria con un’azione al limite dell’eversione – il tappo è saltato è si è arrivati alla parcellizzazione della corruzione, ma anche della lotta agli illeciti.

Ovvero?

Prima la magistratura aveva dei punti di riferimento: rispondeva all’Anm, al Csm e a Magistratura democratica. Quando il tappo salta, la corruzione da sistemica diventa per micro reti, per correnti, se non addirittura individuale: non si accettano più finanziamenti illeciti per il partito ma per sé. E a quel punto anche i magistrati che la combattono non hanno risposto più a nessuno, se non alla loro procura di riferimento e a volte nemmeno a quella. La parcellizzazione della corruzione comporta la parcellizzazione delle inchieste. Che spesso diventano un palcoscenico per soddisfare l’ansia di popolarità e di mediaticità del singolo pm o di un gruppo di magistrati. Con un’aggravante.

Quale?

Che al tutto si aggiunge l’afflato giustizialista di alcuni giornali e soprattutto del Movimento 5 Stelle, che non solo prende il peggio dalla destra e dalla sinistra, ma porta avanti un giustizialismo a corrente alternata, a seconda se gli fa comodo o no. Abbiamo visto, per esempio, il diverso approccio di fronte ai guai giudiziari di Virginia Raggi e di Federico Pizzarotti.

E’ colpa più della politica o della magistratura se siamo a questo punto?

La politica non si è fatta mancare nulla: c’è una parte di essa molto sensibile alle sirene della corruzione e un’altra parte che cavalca l’onda giustizialista. Sull’altro fronte, invece, abbiamo visto magistrati star che si sono sentiti investiti di una funzione quasi rivoluzionaria e che hanno portato avanti inchieste poi finite nel nulla, oppure giudici entrati in politica e diventati addirittura leader di partito o ministri. Un caos totale.

Cosa si può fare per ricostruire un rapporto che sembra logorato irrimediabilmente?

Almeno mettere un paio di paletti. Il primo è la separazione delle carriere tra giudici e pm, da cui può scaturire anche un diverso approccio culturale alle indagini. Il secondo è regolare meglio l’ingresso dei magistrati in politica. Nessuno vuole negare a un magistrato il diritto di togliersi la toga e candidarsi, ma ci vogliono delle regole ben precise sia per l’ingresso sia, eventualmente, per il suo ritorno in magistratura. E ogni riferimento al caso di Michele Emiliano è puramente voluto: che almeno non si candidi nel territorio dove ha operato come magistrato. Speriamo che la legge appena approdata alla Camera (il testo è arrivato ora in Aula a tre anni dall’approvazione in Senato, ndr) porti un po’ di chiarezza su questo fronte.

Cosa ne pensa degli ultimi casi che hanno riempito le pagine dei giornali, Minzolini e Consip?

La vicenda Minzolini è paradossale, perché è stato condannato, tra gli altri, da un giudice tornato in magistratura dopo essere stato un suo avversario politico, sul fronte opposto all’ex direttore del Tg1. Che vi sia anche solo il sospetto di questo è inaccettabile e provoca un danno prima di tutto all’immagine della magistratura.

E Consip?

Premesso che ho votato in modo convinto contro la mozione di sfiducia al ministro Luca Lotti, dico che quando è stata messa in piedi una struttura così grande e importante nella gestione degli appalti pubblici, andava studiata meglio l’organizzazione della sua governance, garantendo la sua messa in sicurezza. In assenza di questo, aver buttato in pista personaggi non all’altezza è un errore che si paga. A gestire certe situazioni ci vogliono personalità di altissimo livello, se ci metti quattro ragazzi della via Paal, il rischio è che combinino dei gran pasticci.

Ecco i paletti che servono tra politica e magistratura. Parla Cicchitto (Alternativa popolare)

“Per recuperare un rapporto civile tra magistratura e politica ci vorrebbe un rinnovamento culturale da parte di entrambi i fronti”. Fabrizio Cicchitto, deputato di Alternativa popolare, ex socialista ed ex forzista, autore del libro “L’uso politico della giustizia”, presidente della commissione esteri della Camera, è uno dei massimi esperti della lotta che ha segnato gli ultimi 25 anni della vita…

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