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Come se non bastasse la Brexit, il governo britannico potrebbe trovarsi presto alle prese con un fronte interno. Tale problema è stato posto dal Primo Ministro gallese, Carwyn Jones, in un intervista al Guardian. Secondo il politico gallese, Londra potrebbe presto prendere il posto di Bruxelles quale catalizzatore delle frustrazioni del popolo britannico qualora il governo – ed il Primo Ministro Theresa May in particolare – continuasse a fare “orecchie da mercante” sulla devolution e la richiesta di maggiori poteri da parte dei tre governi di Galles, Irlanda del Nord e Scozia.

Devolution. Quello che iniziò sotto i governi di Tony Blair – fautore della riforma – e Gordon Brown è continuato a singhiozzo durante quello conservatore di David Cameron per poi arenarsi completamente con l’arrivo di Theresa May e del suo esecutivo pro-Brexit. Come sostiene proprio l’ex-Primo Ministro Gordon Brown, il governo è obbligato a mantenere la promessa di un maggior coinvolgimento dei governi regionali durante le trattative con la UE. Il rischio, sottolinea il politico laburista – e scozzese – sarebbe la “dissoluzione del Regno Unito”. Proprio la devolution e il ritorno dei poteri da Bruxelles a Edimburgo invece che a Londra, sarebbe per Gordon Brown la possibile “terza via” della Scozia ad una maggiore autonomia.

“Se non stanno attenti, la frustrazione dei cittadini britannici nei confronti di Bruxelles si trasferirà su Londra: stanno dando l’idea di non ascoltare [le volontà dei governi regionali]”

– Carwyn Jones, primo ministro gallese

Le minacce scozzesi. L’appoggio ad un eventuale accordo con l’Unione Europea, potrebbe, quindi, essere usato dai tre parlamenti regionali, quindi, per aumentare la propria autonomia da Londra. Le prime avvisaglie sono arrivate dalla Scozia dove il governo indipendentista scozzese di Nicola Sturgeon – la cui regione ha votato contro la Brexit – è arrivata a paventare un secondo referendum per l’indipendenza qualora Londra continuasse – accusa la Sturgeon – a non tenere conto delle priorità di Edimburgo. Queste comprendono l’accesso al Mercato Comune, all’Unione Doganale e la continuazione ai programmi di sviluppo finanziati dall’UE. Il governo scozzese non può indire tale referendum senza il consenso di Londra, ma i voti dei 56 parlamentari del Partito Indipendentista Scozzese a Westminster potrebbero essere essenziali quando, nel 2019, la Camera dei Comuni dovrà votare l’accordo.

All’avvicinarsi di quella data, la minaccia del referendum potrebbe costringere il governo britannico a fare importante concessioni nei riguardi della devolution scozzese con lo scopo di salvare la Gran Bretagna dal “no-deal”. Allo scopo di rafforzare la propria posizione, la Scozia ha recentemente firmato un accordo commerciale speciale con la Baviera, ponendosi quindi in diretto contatto con la Germania, uno dei principali avversari della Gran Bretagna alle trattative per la Brexit, come dire: o ci ascoltate o noi andiamo per i fatti nostri.

Il rebus irlandese. In quello che prende sempre più la forma di un complicato Risiko nazionale, un secondo fronte si è aperto in Irlanda del Nord. Qui, le ultime elezioni regionali hanno visto franare il Partito Unionista – pro-Londra e pro-Brexit – ed avanzare lo Sinn Féin – l’ex-braccio politico dell’IRA, l’Esercito Repubblicano Irlandese – che ha colto la palla al balzo e si è fatto promotore di un referendum a favore della riunificazione dell’isola. La richiesta – derubricata dal governo inglese come inaccettabile – ha trovato un inaspettato alleato nella stessa Repubblica d’Irlanda. 

Dublino è infatti preoccupata che la possibile chiusura delle frontiere in seguito alla Hard-Brexit postulata da Theresa May possa portare alla riapertura del conflitto settario fra cattolici e protestanti nella parte settentrionale del paese. Per questo, l’Irlanda ha richiesto all’Unione Europea di prestare particolare attenzione durante le trattative nei riguardi della libera circolazione delle persone fra la Repubblica e l’Irlanda del Nord e di inserire una clausola che porterebbe le province settentrionali direttamente all’interno dell’Unione in caso di riunificazione dell’isola. La proposta è stata accettata dal Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ed anche qui, come in Scozia, la necessità di un fronte unitario nei confronti dell’Unione Europea potrebbe portare il governo britannico – intenzionato a non perdere Belfast – a fare ulteriori concessioni sulla devolution.

“Se Theresa May pensa che il futuro di Gibilterra e del suo confine con la Spagna sia poco importante, questa non è l’idea dell’Unione Europea”

– Diplomatico europeo anonimo

La grana di Gibilterra. Infine c’è la questione di Gibilterra, territorio britannico autonomo e, allo stesso tempo, volano economico del sud della Spagna. In questa remota area dell’Europa si sta aprendo il fronte di più difficile gestione per Theresa May. Il governo spagnolo ha più volte espresso la propria preoccupazione per un’eventuale chiusura delle frontiere fra la Rocca e la Spagna, la quale porterebbe ad enormi disagi per gli oltre 12.000 pendolari spagnoli che ogni giorno si trasferiscono a Gibilterra per lavoro. Per evitare quello che viene visto come un possibile disastro per la già traballante economia dell’Andalusia, la diplomazia spagnola ha cercato di creare un vasto consenso all’interno dell’Unione verso il progetto di “sovranità condivisa” su Gibilterra fra Madrid –quindi l’Unione Europea – e Londra.

Londra contro Madrid, o forse no. La risposta del governo britannico è stata decisa arrivando a minacciare un intervento militare nei confronti di Gibilterra – uno dei pilastri dell’orgoglio nazionale britannico – qualora ne fosse costretta. Tale minaccia – considerata da Theresa May una “boutade” – è poi rientrata, ma la Spagna sembra intenzionata a far pesare la questione della sovranità – e dei suoi risvolti economici e geopolitici – durante le trattative per la Brexit. Interessante – nel contesto della devolution – la proposta del laburista Peter Hain. Secondo Hain, la co-sovranità di Gibilterra potrebbe essere la miglior soluzione possibile sia per la Rocca che per la Gran Bretagna, soprattutto in vista delle trattative per la Brexit.

Uscire dall’UE senza perdere il Regno Unito, questa sembra la vera sfida che Theresa May, fra Brexiters e devolution, dovrà affrontare in casa sua prima ancora che a Bruxelles.

 

Estratto da una serie di articoli pubblicati dall’autore su: il Caffè e l’Opinione 

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