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Prosegue senza sosta il frenetico attivismo di Matteo Renzi e di molti renziani nel mettere in cattiva luce i ministri “tecnici” dell’esecutivo, ovvero il titolare dell’Economia Pier Carlo Padoan e quello dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. D’altronde, è stato giorni fa il presidente del Pd Matteo Orfini, ovviamente d’intesa con l’ex premier Renzi, a indicare al pubblico ludibrio i due tecnici, rei di non seguire ordini ed sms del segretario dimissionario. Due tecnici, peraltro, a lungo corteggiati e ospitati sia nelle direzioni del Pd (nel caso di Padoan) sia nelle riunioni alla Leopolda (nel caso di Calenda).

La strategia renziana di isolare i tecnici, nel caso di Calenda, si condisce di una tattica: bisbigliare che il ministro dello Sviluppo sia molto apprezzato da Silvio Berlusconi, che vorrebbe l’ex manager dell’Interporto campano e della Ferrari, oltre che ex numero uno della montezemoliana Italia Futura, come possibile candidato premier del centrodestra. A nulla valgono le smentite di Calenda con dichiarazioni e lettere ai giornali in cui il ministro dello Sviluppo dice di non aver incontrato Berlusconi. Ma bastano apprezzamenti verso Calenda da parte del berlusconiano Paolo Romani sulla vicenda della scalata dei francesi Vivendi in Mediaset per rinfocolare i bisbigli renziani che ieri hanno raggiunto il parossismo.

Scrive oggi il Corriere della Sera: “Le agenzie scrivono che Matteo Renzi, attraverso il presidente del Pd Matteo Orfini e il capogruppo alla Camera Ettore Rosato, avrebbe bloccato la cosiddetta norma anti-scorrerie. Di che cosa si tratta? La misura punta a bloccare le scalate ostili verso le aziende italiane stabilendo che, quando un gruppo straniero supera la soglia del 10% o del 25% nel pacchetto azionario di un’impresa italiana, deve diffondere una lettera di intenti. Deve spiegare, in sostanza, quali sono i suoi piani per l’azienda che sta scalando. La norma era stata studiata per il disegno di legge sulla concorrenza, che però è fermo in Parlamento da oltre due anni. Di qui l’idea di accelerare e agganciarla alla manovrina, che come tutti i decreti legge ha una corsia preferenziale con tempi di approvazione molto più rapidi. È proprio qui che è nato il caso. La norma anti-scorrerie non è nemmeno entrata in Consiglio dei ministri”.

Infatti, secondo la ricostruzione di Formiche.net, è stato lo stesso premier Paolo Gentiloni a comunicare a Calenda di voler soprassedere sulla norma in questione che avrebbe generato dissapori e incomprensioni politiche. D’altronde, che necessità di urgenza ci sarebbe se, come indicato nelle bozze elaborate dai tecnici del governo, la norma valeva per il futuro non potendo essere retroattiva? Aggiunge infatti il Corriere: “A leggere il dossier che accompagna la norma anti scorrerie, inizialmente preparata come un emendamento al disegno di legge sulla concorrenza. In quel testo si specifica che gli obblighi di comunicazione per il gruppo straniero che sta scalando un’azienda italiana «si applicano esclusivamente agli acquisti di partecipazione effettuati successivamente alla data di entrata in vigore». La vicenda Mediaset-Vivendi, quindi, ne resterebbe fuori”. “L’obiettivo della norma mutuata dall’ordinamento francese – viene ricordato dallo staff di Calenda, scrive il Corriere – è quello di garantire trasparenza circa le intenzioni dell’investitore relativamente alle operazioni aventi a oggetto l’acquisto di almeno il 10% del capitale di una società quotata”.

Nella frenesia di Renzi e renziani su Vivendi – e non solo su Vivendi – si scorgono peraltro negli ultimi giorni alcune contraddizioni. Da un lato si dice da tempo che occorre tutelare anche in stile francese aziende strategiche e interessi nazionali, dall’altro però si sabotano le norme (come quella ideata e auspicata dal ministero dello Sviluppo economico). Evidentemente le contingenze Pd fanno cambiare opinione. È quello che sta accadendo anche su Telecom Italia, ad esempio?

La salita dei francesi di Vivendi nel gruppo ex monopolista non ha affatto provocato entusiasmi nel governo Renzi. Così come la nomina di Flavio Cattaneo ad amministratore delegato del gruppo non ha avuto alcun ok di Palazzo Chigi. Non solo: Renzi non ha ostacolato, anzi ha assecondato, la decisione dell’Enel di intervenire nel settore della banda larga di fatto in antitesi e per incalzare Telecom Italia-Tim, che sbuffa non poco per l’attivismo del gruppo partecipato dal Tesoro e guidato dall’ad, Francesco Starace.

Ma ora qualcosa, forse, sta cambiando. Giovanni Pons su Repubblica ieri si è chiesto: “Come mai il gran capo di Vivendi, il finanziere bretone Vincent Bolloré, ha scelto di ributtare nella mischia di Telecom Italia l’ex presidente Franco Bernabé?” Bernabé infatti è stato inserito fra gli indipendenti nella lista presentata dai francesi per il rinnovo del consiglio di amministrazione di Telecom-Tim. Bernabé, ha ricordato Pons, “ha sempre mantenuto buoni rapporti con gli azionisti francesi di Mediobanca e nel cda di Telecom una delle poche persone che in diverse occasioni lo ha sostenuto è stato proprio Tarak Ben Ammar, il più fidato consigliere di Bolloré”.

Inoltre all’attuale presidente di Telecom (Giuseppe Recchi, in forse per una riconferma) spetta ora fra le altre la delega su Telecom Sparkle, la società proprietaria della rete che si estende in Europa, America e Asia e che ha una rilevanza strategica per l’Italia visto che da essa passano la gran parte delle comunicazioni da e per il Medio Oriente e l’area Mediterranea (qui uno dei recenti approfondimenti di Formiche.net sul tema Sparkle e sulle mire dei francesi anche sul business strategico di Sparkle). “Si capisce – secondo Pons – come mai a Bolloré sia venuto in mente di rispolverare la carta Bernabé nel ruolo di garante delle buone intenzioni dei francesi nei confronti delle istituzioni italiane, visti i rapporti con i servizi di sicurezza, con la magistratura e anche con le authority”. E i rapporti di Bernabé con Renzi tramite il manager e imprenditore Marco Carrai, oltre che con “l’attuale inquilino di Palazzo Chigi, Paolo Gentiloni”, scrive oggi il Sole 24 Ore.

L’ex numero uno di Telecom potrebbe avere un ruolo in una partita che sta a cuore a Renzi e ai renziani: “Nel corso del suo ultimo mandato in Telecom, interrotto nell’autunno del 2013 per dissidi con l’azionariato, Bernabé – ricorsa il Sole – aveva lavorato al progetto di scorporo della rete, accantonato in fase già avanzata. Volendo, avere in casa il manager che l’ha ideato permetterebbe di completare lo spin-off in temi rapidi”. Vedremo.

Carlo Calenda

Mediaset, Vivendi, Telecom-Tim, Renzi e Calenda. Cosa sta succedendo?

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