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Il ministero dello Sviluppo economico ha presentato al Parlamento la Relazione annuale “sullo stato di attuazione e sull’impatto della policy a sostegno delle startup e delle Pmi innovative”. Che cosa sono le startup? In economia, con il termine startup  si identifica una nuova impresa nelle forme di un’organizzazione temporanea o una società di capitali in cerca di un business model ripetibile e scalabile.

Inizialmente il termine veniva usato unicamente per startup operanti nel settore Internet o tecnologie dell’informazione. Oggi, con la crescente influenza del software, anche altri settori sono interessati dal fenomeno. Si tratta di un’esperienza interessante, anche se modesta, di cui i profeti di sventura che conducono i talk show si guardano bene dal parlare. A soli quattro anni dal suo lancio la normativa delle startup si è abbastanza consolidata in linea con le raccomandazioni europee, tanto che in questo settore il nostro Paese si colloca al secondo posto nell’elenco di quanti le hanno adottate. Trattandosi di una platea ancora ridotta le variazioni vengono amplificate.

Così, nel 2016 l’anno a cui si riferisce il Rapporto, il numero di startup registrate è aumentato del 41% rispetto al 2015, la forza lavoro coinvolta del 47,5%, il valore media della produzione del 33% e le risorse finanziarie raccolte del 128% , considerando anche il versante dell’accesso al credito attraverso il fondo di garanzia per le Pmi. Sotto questo aspetto è importante sottolineare che l’Italia è stato il primo Paese a dotarsi di un regolamento dedicato all’equity crowdfunding che ha dato alle startup innovative la possibilità di raccogliere investimenti in equity diffusi attraverso campagne effettuate su portali autorizzati da Consob. L’equity – è sufficiente consultare internet – è una tipologia di crowdfunding (raccolta collettiva di risorse online a sostegno di progetti ritenuti interessanti) nella quale chiunque può investire in un’impresa che pubblica una campagna di raccolta fondi su un portale online specializzato (piattaforma di equity crowdfunding). La campagna ha una durata limitata e un obiettivo di fondi da raccogliere. Se, al suo termine, l’obiettivo è raggiunto, gli investitori entrano nel capitale sociale (“equity”) della società, assumendo anch’essi in tal modo il “rischio d’impresa” con il socio o i soci già esistenti. Tramite l’investimento si acquisisce così un vero e proprio titolo di partecipazione nella società ed i relativi diritti amministrativi e patrimoniali che ne derivano, ivi compresi eventuali dividendi futuri o un “capital gain” cioè il realizzo di plusvalenze a seguito della cessione della partecipazione.

Il buon andamento dell’esperienza è confermato anche dalla dinamica mensile delle iscrizioni di startup innovative. Se a gennaio 2013 erano 20 già a marzo di quello stesso anno se ne erano iscritte altre 316. A giugno del 2016 sono state 202. A settembre dello scorso anno le startup innovative iscritte erano 6.363, con più di 9mila dipendenti e di 25mila soci. Il valore complessivo della produzione ammontava ad oltre 585 milioni (183 milioni a settembre 2014) con un valore medio di 151 milioni (131 milioni a settembre 2014). Come abbiamo premesso i numeri non sono eclatanti, ma segnano un percorso significativo, in quanto vi sono 3,5 dipendenti e 4 soci per ogni startup.

Come tutte le attività economiche anche queste imprese, come nascono, possono anche morire. Il saldo tuttavia è positivo per più di 2mila unità. Le startup a prevalenza giovanile (under 35) sono il 22,3% del totale, una quota di tre volte superiore rispetto a quella delle società di capitali a prevalenza giovanile (6,7%). Le società in cui almeno un giovane è presente nella compagine societaria sono 2.290, il 38,5% del totale delle startup, contro un rapporto del 13,2% se si considerano le società di capitali con presenza giovanile. Le startup con una compagine societaria a prevalenza straniera sono il 2,5% del totale, una quota inferiore a quanto accade per le società di capitali estere (4,2%). Le società in cui è presente almeno uno straniero sono il 12,6% del totale (le società di capitali con presenza straniera sono pari al 10,5%). Le attività nettamente prevalenti sono relative ai servizi di informazione e comunicazione (41,5% del totale), principalmente quelle di produzione di software e di consulenza informatica.

Seguono le attività di ricerca scientifica e sviluppo e le altre attività professionali, scientifiche e tecniche. Solo il 18% delle startup innovative opera nei settori dell’industria e dell’artigianato (fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica, ecc.). Il commercio incide soltanto per il 4,7% del totale. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale il 30,1% sono nell’area Nord-ovest, il 25,1% nel Nord-est, il 21,9% nel Centro, il 22,9% nel Mezzogiorno.

Barbagallo

Ecco a che punto è il fenomeno delle start up in Italia

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