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Ieri mattina, all’Europarlamento era in programma la discussione sul ricollocamento dei migranti ma il presidente Jean Claude Juncker si è trovato di fronte ad un’aula semideserta con soli trenta europarlamentari. Il messaggio diventa sempre più chiaro: è sul tema immigrazione che si consumerà la partita sull’Europa, più divisiva che unificante e ben lontana dai principi di solidarietà che hanno retto la sua nascita.

“Il Parlamento europeo è ridicolo. Assai ridicolo – è sbottato Juncker -. Il fatto che una trentina di parlamentari siano seduti ad assistere a questo dibattito dimostra a sufficienza che il Parlamento non è serio”. Quelle di Juncker sono parole dure che traducono ormai uno stato di insofferenza su una situazione che si trascina da tempo senza alcuna risoluzione a breve termine. L’Italia continua a chiedere sostegno, ma più che una pacca sulle spalle nessuno Stato si è dimostrato sinora disponibile a impegnarsi nella divisione degli oneri dei continui sbarchi.

L’Europa a due velocità è sempre più chiara anche dopo la chiusura della rotta balcanica attraverso l’accordo con la Turchia di Erdogan che ha graziato alcuni Paesi del nord Europa, lasciando all’Italia e alla Grecia la gestione degli sbarchi, non potendo chiudere il mare. Una discriminante che non può non chiamare in causa l’Europa per mettere mano al regolamento di Dublino superato dalle nuove dinamiche della migrazione che mettono in serie difficoltà i paesi di primo approdo.

La Francia di Macron, insieme alla Spagna, si è già detta non disponibile ad aprire i porti alle navi dei soccorritori. Nelle ultime ore anche l’Austria ha alzato il muro e si è detta pronta a schierare l’esercito al Brennero per fermare i migranti provenienti dall’Italia. Insomma ci risiamo. Continua il giro di valzer di accuse e contro accuse. Mentre l’Italia si trova impossibilitata a chiudere i suoi porti, gli altri Paesi europei non dimostrano nessuna disponibilità o ragionevolezza nella gestione del dramma degli sbarchi. Suonano a vuoto le richieste del premier Paolo Gentiloni che ha chiesto agli altri capi di Stato europei di rispettare gli accordi stipulati nel 2015 che prevedevano il ricollocamento, secondo un sistema di quote, di 160mila richiedenti asilo. E nemmeno fa paura il suo ultimatum secondo cui l’Italia potrebbe mettere in atto delle ripercussioni, se non si troverà un accordo sul ricollocamento dei richiedenti asilo. In molti gridano all’invasione, l’opinione pubblica è arrivata a crederci mentre si mischiano rifugiati, migranti, clandestini e terrorismo senza alcuna volontà di fare chiarezza, ma quasi con l’intento di creare più caos e disinformazione possibile a partire dai numeri.

Perché mentre cresce l’allarme sull’aumento del numero dei rifugiati i dati dell’ultimo rapporto dell’agenzia statistica europea ci dicono altro. Ci informano che il numero di richiedenti asilo non è in aumento ma in diminuzione e di quasi la metà in un anno. Il numero dei richiedenti asilo nell’Ue è calato del 47%, passando dagli oltre 300mila del primo trimestre 2016 ai 164.555 dei primi 3 mesi del 2017. Il motivo? Lo spiega bene Alessandro Lanni su Carta di Roma: “Gli effetti dell’accordo tra Bruxelles e Istanbul, quello firmato da Erdogan, hanno interrotto il flusso di rifugiati provenienti da Iraq, Afghanistan e soprattutto Siria creando di fatto un tappo sul suolo turco pagato profumatamente dall’Ue. In Libia si proverà a fare qualcosa di simile”.

Come dicono molti analisti del fenomeno migratorio, è una distribuzione più equa dei richiedenti asilo tra i vari Paesi membri dove trovare una parte della risoluzione al problema e non il continuare a inseguire fantomatiche chiusure verso chi scappa da guerre e fame. Proposta che continua ad essere rispedita al mittente.

Ma aldilà della questione rifugiati, la realtà degli sbarchi che non viene affrontata è quella relativa ai migranti economici. Un tema che si evita di affrontare pur se è sempre più evidente e urgente avviare un percorso di legalità nell’ immigrazione. Paradossalmente, la chiusura delle frontiere continua a gonfiare le fila dell’illegalità mentre i canali legali sono fermamente chiusi da troppi anni. In Italia si continua a tenere in piedi la Legge Bossi-Fini quando è superata non solo dai suoi fondatori ma anche dai tempi. Questa legge è il miglior strumento per  ingrossare le fila della clandestinità, l’illegalità e il lavoro nero nel nostro paese.

Eppure, sono molti gli indicatori a spiegarci come il fenomeno migratorio non possa essere descritto e affrontato solo in chiave problematica ma anzi, debba essere raccontato come risorsa che l’Europa e l’Italia non può sottrarsene. Il presidente dell’Inps Tito Boeri ce la racconta con i numeri: “Chiudere le frontiere vuol dire distruggere il nostro sistema di protezione sociale si legge nel rapporto annuale dell’Inps, in cui è calcolato che se i flussi di entrata dovessero azzerarsi, avremmo per i prossimi 22 anni 73 miliardi in meno di entrate contributive e 35 miliardi in meno di prestazioni sociali destinate a immigrati, con un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse dell’Inps: insomma, una manovra in più da fare ogni anno per tenere i conti sotto controllo”.

Per questo il presidente dell’Inps – pur “consapevole del fatto che l’integrazione degli immigrati che arrivano da noi è un processo che richiede del tempo e comporta dei costi” – spiega che è necessario “avere il coraggio di dire la verità agli italiani: abbiamo bisogno degli immigrati per tenere in piedi il nostro sistema di protezione sociale”. Gli immigrati che arrivano in Italia sono sempre più giovani: la quota degli under 25 che comincia a contribuire all’Inps è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015. Si tratta, ha calcolato l’istituto, di 150 mila contribuenti in più ogni anno. Numeri che compensano il continuo calo delle nascite, “la minaccia più grave alla sostenibilità del nostro sistema pensionistico”, spiega Boeri.

Ma i numeri dell’Inps sono solo una parte di quella risorsa che difficilmente viene ricollegata all’immigrazione. Risorse sono anche i giovani G2 messi in frigo da una legge sulla cittadinanza che fatica a vedere la luce. Sono i numerosi lavoratori in nero. Sono anche quei fondi che si sprecano pensando di chiudere frontiere impossibili da chiudere invece che disporle in progetti di sviluppo nei paesi di provenienza oltre che nel nostro paese di arrivo per una progettazione a lungo termine di un’immigrazione legale.

Non bisogna stancarsi nel ripeterlo, ma chi pensa di fermare il fenomeno migratorio è solo un illuso o un bugiardo. Siamo tutti il frutto di una migrazione e il futuro della nostra epoca è gestirla, governarla con intelligenza, e non certo girando le spalle e pagando mercenari alle porte del mediterraneo. Per farlo e riceverne i frutti bisogna prenderne consapevolezza, accettarlo e lavorare per formare una squadra capace di traghettare questa nostra grande sfida. Quella squadra che continua a mancare in Europa. Quella che questa mattina era assente all’Europarlamento ma che non può continuare a disertare il campo a lungo perché il prezzo da pagare sarà solo il caos.

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