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Lasciati gli incarichi in Atm Bruno Rota ha assunto quello di direttore generale dell’Atac, l’azienda capitolina del trasporto pubblico. Dopo la rottura con il sindaco Beppe Sala sulle strategie di alleanze aziendali era inevitabile la ricerca di una soluzione esterna.

Qualcuno ha un po’ esagerato nel dipingere la stagione di Rota all’Atm in termini apologetici contrapponendola con spirito di fazione a quella dei predecessori ma ciò non toglie che i suoi risultati di gestione siano stati complessivamente positivi, accompagnati (cosa da non sottovalutare) da buoni rapporti con le organizzazioni sindacali. La stampa locale, che aveva presentato (giustamente) con grande clamore il forte contrasto tra il sindaco e il vertice di Atm, ha trattato diversamente la notizia dell’incarico romano di Rota. I giornali che se ne sono occupati l’hanno ridimensionata, sottovalutandone il significato politico e relegandola nelle pagine interne. Sala, a cui comunque sono state tolte le castagne dal fuoco, non potrà che fare cavallerescamente a Rota tanti auguri e ponti d’oro.

Come e perché i Cinque stelle, dopo che nel dibattito interno al Movimento la candidatura di Rota è stato oggetto di pesanti accuse (tra cui quella non originalissima di essere stato una creatura di Berlusconi) lo hanno scelto come direttore di una realtà come Atac, il cui futuro contribuirà a segnare il destino dell’amministrazione di Roma e della stessa sindaca? I pareri negativi su Rota erano in realtà pregiudizi un po’ fumosi, eredità ormai consumata della “questione morale” di berlingueriana memoria ma tenuta in gran conto anche da Casaleggio senior. Le ragioni favorevoli sembrano assai più fondate e partono dalla opportunità, non di poco conto, di poter disporre di una persona competente, con alle spalle una lunga esperienza di gestione della più importante ed efficiente azienda di trasporto pubblico locale. Si può anche dire che è stato “strappato” alla concorrenza e comunque per il futuro sarà una garanzia per la difesa dell’autonomia di Atac, in particolare nei confronti delle Ferrovie dello Stato, se e quando dovesse nascere un interesse da parte di queste ultime sulla rete capitolina.

Rota ha già lavorato a Roma, collaboratore di Romano Prodi presidente dell’Iri, ma questa volta si tratta di una responsabilità enorme, non tanto per la dimensione dell’azienda ma per le difficoltà di gestione di una situazione compromessa da una lunga stagione (in cui si sono succeduti amministratori di tutti gli orientamenti politici) fatta di compromessi, veti, clientelismo e quant’altro. Non c’è dubbio che il disastro dell’Atac sia attribuibile ad una vasta area di complicità e di silenzio delle forze politiche, sociali e delle istituzioni. Il voto a Roma per Virginia Raggi è stato motivato anche dai disservizi del trasporto, ma i cittadini ora si aspettano che le cose cambino davvero.

In questa situazione colui che ha meno tempo per rallegrarsi è proprio Bruno Rota, il quale ha (coraggiosamente) accettato una sfida che i più considerano una missione impossibile. Questo non toglie che possa dare un contributo decisivo per avviare al risanamento e alla riqualificazione una grande impresa pubblica come Atac che determina la qualità di vita degli abitanti della Capitale. La leadership aziendale è importante ma in una situazione così complessa e così compromessa la logica dell’uomo solo al comando difficilmente funzionerebbe. Occorre che Rota costruisca una squadra di alto valore professionale per realizzare senza incertezze un progetto aziendale chiaro e politicamente forte perché condiviso e sostenuto senza ambiguità dagli amministratori romani.

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